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Widening Participation: uguaglianza, giustizia o discriminazione positiva?

Londra, Regno Unito

Il partito laburista ha appena soffiato al partito conservatore più di 150 seggi nei consigli regionali in quelle che sono state le peggiori elezioni per il partito dei Tories negli ultimi 14 anni. Con la sconfitta del partito e della politica della levelling up appena prima delle elezioni politiche, c’è un tema che viene discusso frequentemente in contesti di educazione superiore. Ovvero quello della necessità di ampliare la partecipazione all’educazione universitaria anche a quelle categorie di studenti che storicamente non entrano in alcuni corsi più prestigiosi, come per esempio medicina o giurisprudenza.

Il concetto di Widening Participation vede le università inglesi obbligate a riconoscere l’enorme gap sociale che esiste nei ragazzi che fanno domanda per i corsi universitari, soprattutto quelli delle 24 università più prestigiose facenti parte del Russel Group. Infatti, ci sono postcodes (ovvero C.A.P. o aree di residenza) in Inghilterra dove l’accesso a scuole decenti e all’educazione superiore sono di gran lunga sotto alla media nazionale e, anche a causa della disparità dell’offerta formativa della scuola secondaria in un Paese dove le scuole private e quelle pubbliche sono molto diverse in termini delle risorse e possibilità offerte ai loro studenti, diventa necessario riconoscere le disuguaglianze nel momento in cui i candidati diciassettenni vengono messi tutti sullo stesso piano quando fanno domanda all’università.

 

Quindi, per fare un esempio: un figlio di medici o avvocati, che ha studiato in una scuola privata tutta la vita e ha sempre avuto attorno a sé altri medici, avvocati o famiglie con professioni comparabili, viene messo sullo stesso piano di un figlio di prima generazione di immigrati, cresciuto in una casa popolare e senza conoscenza del mondo dell’istruzione superiore a livello famigliare.

 

Sono tutti d’accordo sul riconoscere che le differenze esistano e che vadano affrontate. Il problema è come.

Ciell, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

La discussione su come effettuare questo “allargamento della popolazione” studentesca all’università si collega direttamente al concetto di uguaglianza e di equità/giustizia. È giusto, per esempio, abbassare i criteri di ammissione per quegli studenti che hanno frequentato scuole statali meno preparate o in zone disagiate? Dove, per esempio, è alto il numero di studenti che hanno bisogno di pasti gratuiti, i cosiddetti free school meals per i quali il sindaco di Londra Sadiq Khan continua a battersi? In generale, la risposta è Yes. C’è però chi pensa che questo possa sfociare nella discriminazione positiva. Ed esiste naturalmente il rischio di perdersi qualcuno per strada. Come si fa a essere sicuri che, tra le scuole rinomate del centro di Londra non si nasconda non l’eccezione alla regola? Come si può accertarsi di averli riconosciuti tutti?

 

La realtà è che queste differenze ci sono. Sono presenti ovunque, in alcuni Paesi più che in altri. Le nostre opportunità dipendono da dove siamo nati e come siamo cresciuti. Se veniamo dalla guerra, abbiamo subito la fame, la miseria, o se siamo stati abbastanza fortunati da capitare nel posto e nella famiglia “giusti”. La modifica dei requisiti a livello universitario cerca di affrontare proprio questo problema: l'accettazione, in qualche modo, delle disuguaglianze. Ma il punto è che si sta anche cercando di porre rimedio a, o peggio “normalizzare” un fallimento che è dello stato e della società. Come dire: mettere una toppa al lavandino che cola, senza aggiustarlo. Forse il dramma è proprio qui: è che abbiamo smesso di lottare contro le ingiustizie, per l’uguaglianza e l’equità, ci siamo abituati all'inadempienza dei governi, politiche poco inclusive, che sono state incapaci di favorire percorsi di integrazione.


È chiaro che una soluzione unica e sicuramente corretta non c'è. L'unico modo è “restare sintonizzati” e mettere in discussione le disuguaglianze quando ce le troviamo davanti.


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