La fede tedesca verso il dogma della austerità è destinata a dare spazio a visioni diverse e più aperte al cambiamento? Difficile rispondere a questa domanda, ma sembra che in Germania si stia arrivando ad un punto di svolta.
Da qualche anno a questa parte, soprattutto dall’inizio della guerra in Ucraina, l’economia tedesca segna il passo, oscillando tra la stagnazione e la recessione. Il modello economico e produttivo, basato sulle esportazioni e sul basso costo dell’energia, è in profonda crisi e necessiterebbe di una svolta radicale. Ma per affrontare questa svolta la Germania dovrebbe abbandonare il principale freno al cambiamento, il dogma dell’austerità dei bilanci pubblici, che ha fatto (e continua a farlo) tanti danni tra i paesi più indebitati come la Grecia e l’Italia, e ora si sta dimostrando controproducente per la stessa Germania.
Bisogna dare atto ai tedeschi che da questo punto di vista sono stati coerenti. Sono riusciti ad imporre la loro visione a tutta l’Unione Europea e la hanno applicata in maniera abbastanza rigida anche verso se stessi.
Un cambio di passo nel dibattito politico europeo sarebbe necessario. Continuare a porsi in maniera servile e compiacente rispetto ai nostri amici tedeschi sta cominciando ad avere effetti deleteri anche per loro. Se aveste un amico che si comporta in maniera autolesionistica (magari ha problemi di salute ma continua a fumare come se non ci fosse un domani) è più giusto e utile per lui dirgli la verità con il rischio magari di ferirlo o continuare ad assecondarlo?
Purtroppo è quello che sta succedendo in Europa. Il dogma dell’austerità ha danneggiato soprattutto i paesi dell’area mediterranea, compresa la Francia, ma nessuno finora ha avuto il coraggio di negoziare seriamente condizioni diverse. È vero che questo dogma va a braccetto con l’ideologia neoliberista della riduzione della presenza dello stato nell’economia, ma è stato ignorato da tutti i paesi che se lo sono potuto permettere tutte le volte che ne hanno avuto bisogno. Ogni volta che c’è stata la necessità di salvare i grandi capitali dall’economia, vedi la crisi finanziaria del 2008, non ci si è fatti troppi scrupoli a intervenire con i fondi statali o con l’intervento delle banche centrali. Peccato che la stessa cosa non sia successa quando si è trattato di salvaguardare il welfare, che è sotto attacco e in costante riduzione un po’ ovunque, dai tempi dell’avvento al potere in Inghilterra di Margareth Thatcher, indipendentemente dal colore politico di chi è andato al governo (possiamo considerare delle eccezioni Tsipras in Grecia, che però è stato osteggiato e ha fallito, e il più moderato Sanchez in Spagna, che qualche risultato l’ha raggiunto).
Stessa strada è stata percorsa anche dalla Germania in questi anni, magari con conseguenze meno disastrose per il welfare, semplicemente perché il paese partiva da condizioni economiche di partenza e di bilancio pubblico di vantaggio. Tutto ciò ha abbastanza funzionato fino al 2022. Ora, con la crisi economica, continuare a mantenere il rigore di bilancio che sta danneggiando non solo il welfare, ma anche la rete delle infrastrutture pubbliche di cui la Germania può andare fiera (come i trasporti pubblici e le mitiche autostrade senza pedaggio), è la scelta più sbagliata che potrebbero fare i politici tedeschi. La Germania ormai segna il passo in molti settori, non è più un faro dell’innovazione tecnologica e, almeno secondo me, ma anche secondo il parere di economisti che non sostengono aprioristicamente il dogma dell’austerità, avrebbe bisogno di investimenti pubblici per l’aggiornamento delle infrastrutture e per stimolare la ricerca scientifica e tecnologica, oltre a salvare il welfare (scuole, sanità, università, etc.), se non si vuole far crescere ulteriormente la destra più estrema e lasciare a lei il presidio delle aree popolari dove cresce il malessere e il risentimento verso uno stato sociale considerato così generoso verso gli ultimi arrivati.
Così la rottura tra i partiti di governo proprio sulla legge finanziaria, con i liberali rappresentati dal ministro Christian Lindner così fermi a difendere il rigore di bilancio senza nessuna disponibilità a negoziare, potrebbe essere l’occasione per rivedere il dogma dell’austerità e l’inserimento nella costituzione tedesca del pareggio di bilancio. Purtroppo è improbabile che ciò avvenga con le prossime elezioni, se ci saranno elezioni anticipate come è probabile, perché i partiti di governo più vocati al sociale e che sarebbero disposti a rivedere la dottrina di bilancio, cioè l’SPD e i Verdi, si sono dissanguati favorendo l’austerità imposta dagli alleati liberali e sostenendo (all’inizio con un po’ di tentennamenti da parte del cancelliere Scholz) la guerra in Ucraina con le conseguenze sull’economa tedesca che ormai chiunque è in grado di vedere.
Si possono aprire vari scenari. Non è scritto sulla roccia che si debba continuare su questa strada fallimentare. Certo, la storia della Germania è caratterizzata da una certa tendenza a seguire una certa strada con coerenza e fino alle estreme conseguenze. Ma nessuno dovrebbe augurarsi, neppure tra chi ha scarsa simpatia per i tedeschi, che anche questa volta gli eventi seguano lo stesso corso che nel noto passato. Magari qualcuno potrebbe gioire perché l’economia del proprio paese sta andando meglio che in Germania (magari di qualche decimale!) e pensare di sfruttare la situazione sostituendo le proprie quote di mercato a quelle tedesche, ma pensiamo a quali conseguenze disastrose potrebbe avere per tutta l’economia dell’eurozona il suicidio della Germania.
Io credo che la storia si possa ancora scrivere e il destino non sia segnato. I tedeschi hanno tutte le capacità e risorse per risollevarsi come è già accaduto varie volte nella storia, solo che ci vuole maggiore coraggio nelle scelte politiche ed economiche e questo coraggio manca a tutta la classe politica europea non solo a quella tedesca.