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Stupro e ansia sessuale. Ecco perché le destre patriarcali attaccano migranti, minoranze e parità di genere

Non sarà parso vero alla premier Meloni, dopo il fallimento delle deportazioni dei migranti in Albania, poter approfittare della giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e della violenza di genere, per rilanciare la sua propaganda anti-migranti. «Adesso verrò definita razzista, ma c’è una incidenza maggiore, purtroppo nei casi di violenza sessuale, da parte di persone immigrate, soprattutto illegalmente.» 

L'assist glielo l’ha offerto l'inopportuno intervento del ministro dell’istruzione, Valditara, durante il varo alla Camera della Fondazione Giulia Cecchettin, il cui femminicida è, tra l’altro, un maschio bianco cisgender italiano. Gli ha fatto eco Salvini, con un post su Facebook in cui elenca tutti i femminicidi avendo cura di selezionare più i casi di stranieri che di italiani. Lo stesso Salvini che ritiene i giudici “comunisti” responsabili di eventuali stupri che potrebbero commettere i migranti di cui non è stato disposto il fermo negli hotspot albanesi. E di cultura dello stupro ha parlato l’editorialista di Libero, Annalisa Terranova, a Otto e mezzo di Lily Gruber su La7. Per Terranova si tratta di un fenomeno trasversale, ma che non dipenderebbe dal patriarcato, dichiarato legalmente finito negli anni ’70 sempre da Valditara, durante lo stesso evento di cui sopra.

In realtà lo stupro ventilato dalle destre è cosa diversa dalle denunce delle femministe e transfemministe, scese in piazza in questi giorni, in difesa dell’autodeterminazione delle donne, quale negazione del consenso e riduzione della stessa a oggetto e proprietà che sono del patriarcato. E per buona pace di Terranova, come dimostrato dalle dichiarazioni soprattutto di Salvini, le destre usano lo stupro come arma contro i migranti.

 

Lo ha fatto Trump, così ammirato da Salvini da sfoggiare persino una cravatta simile, durante l’ultima propaganda, come in quella precedente, dove mediante fake, il tycoon ha fatto leva sul mito del migrante stupratore. Per Angela Davis, il mito dello stupratore nero viene rispolverato con metodo ogni volta che le ricorrenti ondate di violenza e terrore contro le comunità nere hanno richiesto una giustificazione convincente. Ed è una strategia questa che il filosofo americano Jason Stanley chiama politica dell’ansia sessuale, sfruttata da quelle «forme di ultranazionalismo (etnico, religioso, culturale), in cui la nazione è rappresentata da un leader autoritario che pretende di parlare a nome di tutti.»

 

Stanley etichetta queste politiche come fasciste. Esse prendono di mira una categoria di individui (migranti, stranieri o afroamericani), la imbruttiscono (anche nei tratti somatici, si pensi all’ultimo calendario di Vannacci, a come viene rappresentata Paola Egonu), ma soprattutto la criminalizzano. Dove il termine «criminale» non è riferito a chi semplicemente commette un reato, ma è l’imputazione di un vero e proprio tratto caratteriale che spaventa la maggior parte delle persone, così da elevare i leader politici a ruolo di protettori. Il crimine su cui si pone l’accento è quello sessuale: «la minaccia usata per destare paura è quella che i membri del gruppo preso di mira stuprino quelli della nazione scelta, contaminando il suo “sangue”.» Una minaccia collegata al patriarcato, perché ne mina le regole e mette in pericolo la virilità della nazione. «La paura dello stupro è fondamentale per le politiche fasciste perché desta l’ansia sessuale, e il conseguente bisogno di protezione della virilità della nazione da parte dell’autorità fascista.»

Perdere un privilegio causa una sorta di angoscia. Se sono cresciuto pensando che gli uomini sono eroi e le donne oggetti che li adorano, potrei sentirmi privato del mio diritto di nascita nel momento in cui mi viene chiesto di considerare quelle donne come mie pari, per esempio, sul luogo di lavoro. Rettificare disuguaglianze ingiuste è sempre doloroso per chi ha tratto beneficio da esse. E questo dolore sarà inevitabilmente percepito come oppressione. Le politiche fasciste sfruttano questo sentimento, nutrono un senso di dolente vittimizzazione nella maggioranza dei cittadini e lo indirizzano su un gruppo che non ne è responsabile. I politici promettono di alleviare il senso di oppressione, punendo quel gruppo e creando così «dei pericolosi “loro”, contro i quali ci si deve difendere e che a sua volta bisogna combattere per ripristinare la dignità di gruppo».

 

La politica dell’ansia sessuale è efficace quando i tradizionali ruoli maschili, come quelli di capofamiglia, sono già minacciati da forze economiche. La propaganda fascista amplifica la paura sessualizzando la minaccia dell’altro. Alla base c’è la famiglia patriarcale tradizionale: ogni devianza dal suo modello genera panico, anche le minoranze sessuali, soprattutto se transgender. Negli uomini, la mascolinità patriarcale genera l’aspettativa che la società concederà loro il ruolo di unici protettori e sostenitori delle rispettive famiglie. In tempi di estrema incertezza economica, i maschi, già in ansia per la minaccia al loro status costituita dalla crescente parità dei sessi, possono essere facilmente gettati nel panico dalla demagogia contro le minoranze sessuali. Le politiche fasciste distorcono deliberatamente la fonte dell’ansia maschile (guardandosi bene dall’affrontare le radici del disagio economico) e la trasformano nella paura che la famiglia sia minacciata da chi ne rifiuta la struttura e la tradizione.

L’importanza strategica del patriarcato dipende dal fatto che «in una società di tipo fascista, il leader è come il padre della famiglia patriarcale». Se il padre deriva la sua autorità morale su moglie e figli da forza e potere il leader, come padre che cura la nazione, fonda la sua autorità legale su forza e potere, principali valori autoritari. È l’autoritarismo paternalistico lo scopo della difesa del patriarcato, minacciato, in ultima analisi, proprio dalle democrazie liberali.

 

Seppur non dichiarandolo, queste forme di politica puntano allo smantellamento delle democrazie. Nessun politico attaccherebbe libertà e uguaglianze apertamente, in una democrazia, non raccoglierebbe consensi. Con la tattica dell’ansia sessuale, aggira il problema in nome della sicurezza e, senza renderlo esplicito, mina gli ideali della democrazia liberale, rappresentandoli, indirettamente, come minacce. L’espressione dell’identità di genere o delle preferenze sessuali, quali esercizio di libertà, e l’uguaglianza concessa alle donne, minacciano la virilità e il ruolo degli uomini come unica fonte di sostentamento della famiglia. Evidenziare la loro importanza di fronte alle minacce sessuali contro mogli e figlie accentua queste sensazioni di ansia legate alla perdita della mascolinità patriarcale. Pertanto, la politica dell’ansia sessuale è un potente mezzo per presentare la libertà e l’uguaglianza come minacce, pur non contestandole apertamente. Una forte insistenza sui temi dell’ansia sessuale è forse il segno più vivido dell’erosione della democrazia liberale.

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