Il termine “femminicidio” è stato coniato per sottolineare e specificare gli omicidi commessi contro le donne a causa del loro genere, del loro essere donna, spesso perpetrati in contesti familiari o relazioni intime. La parola stessa ci racconta del movente ed implica un atto di violenza basato sulla discriminazione di genere e sulla percezione della donna come oggetto di dominio e controllo. Diana Russell, criminologa statunitense, definisce il femminicidio come “una forma di punizione e controllo sociale sulle donne”, sottolineando così la natura intrinsecamente coercitiva del fenomeno. L'uso del termine ha senza dubbio contribuito ad evidenziare la complessità del problema e la necessità di affrontarlo in maniera specifica e mirata.
I dati ISTAT relativi agli stereotipi di genere e all'immagine sociale della violenza, riferiti al periodo maggio-luglio 2023, forniscono un'analisi rivelatrice della percezione e della tolleranza nei confronti di determinati comportamenti all'interno delle relazioni di coppia. Mentre emergono segnali positivi in termini di una minore tolleranza della violenza fisica, un aspetto chiave di preoccupazione emerge nella persistenza di stereotipi di genere nel nostro tessuto sociale. Una parte significativa della popolazione, soprattutto tra i giovani, accetta ancora il controllo dell'uomo sulla comunicazione, includendo l'uso di cellulari e social media, nei confronti della propria moglie o compagna.
È da sottolineare un punto critico ricorrente nelle relazioni, ovvero: la normalizzazione della gelosia, che contribuisce in modo significativo a creare un contesto in cui la violenza di genere può proliferare. In molte e per molte società, la gelosia è stata spesso considerata una manifestazione di amore e attaccamento, ed erroneamente accettata come parte integrante di una relazione affettiva. Questa percezione può portar a un'ulteriore normalizzazione di comportamenti tossici, quali il controllo e la possessività. La gelosia NON è un valore affettivo! In nessuna forma. L'osservazione sulla gelosia come termometro dei rapporti sottolinea quanto queste convinzioni dannose possano penetrare con facilità nelle dinamiche relazionali.
A proposito di gelosia e controllo, il problema si complica ulteriormente quando si considera anche la normalizzazione del cosiddetto “malessere”, alimentato dalla cultura popolare e dai media. Questa definizione descrive l’atteggiamento tossico del compagno che manifesta il suo malessere derivato dalla possessività nei confronti della “propria donna”. Questo termine purtroppo sta entrando in voga tra i giovani ed è sempre più protagonista tra gli hashtag delle loro stories. Trasformare il disagio in un meme o farlo diventare parte della conversazione quotidiana, della ricerca sentimentale e dell’attrazione contribuisce di certo a minimizzare la gravità di problemi ben più profondi. Bisogna affrontare questa normalizzazione del malessere attraverso una riflessione critica sulla cultura e la società. Le campagne di sensibilizzazione e l'educazione pubblica possono svolgere un ruolo cruciale nel cambiare atteggiamenti e comportamenti, promuovendo una definizione sana di amore e relazione, evidenziando il rispetto reciproco, la comunicazione aperta e la consapevolezza delle dinamiche di potere.
Parallelamente, è fondamentale coinvolgere gli uomini nella lotta contro la violenza di genere. Questo implica alla base una sfida verso i modelli tradizionali di mascolinità che possono contribuire al sostegno di comportamenti violenti, atteggiamenti molesti e/o possessivi. Gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla promozione di una mascolinità positiva, basata sulla comprensione, l'empatia e il rifiuto di pratiche dannose. Oggi, più che mai, è essenziale che questa voce si elevi come protesta e forum di discussione costruttiva all'interno della comunità maschile. Gli uomini devono assumersi la responsabilità di ruolo attivo nella rieducazione emotiva, potendo così contribuire al riorientamento sociale ed economico che rinunci definitivamente alla concezione di una gerarchia di potere e privilegio. Questo processo incoraggia una parità a livello umano, sostenuta dal reciproco sostegno e dalla comprensione delle molteplici sfaccettature dell’essere maschile.
La tragica realtà dei femminicidi è profondamente radicata nella persistente disuguaglianza di genere e nella perpetuazione di stereotipi culturali dannosi. L'idea che l'inferiorità della donna rispetto all'uomo sia alla base dei femminicidi riflette un retaggio culturale profondamente radicato. Questo si manifesta in molteplici modi, incluso il concetto arcaico dell'uomo “capo famiglia”, protettore della donna, titolare della sua esistenza. La rappresentazione teologica e religiosa ha, inoltre, plasmato la concezione gerarchica degli esseri viventi. La visione della donna come derivante dalla costola dell'uomo, con quest'ultimo considerato l'essere per eccellenza, perpetua da secoli una narrazione distorta e dannosa. L'assorbimento inconscio di tali credenze può influenzare comportamenti e atteggiamenti, trasformando chi non è educato al rispetto in potenziali autori di azioni di potere e controllo, molestie o, in casi estremi, di violenza letale. Il presupposto di superiorità dell'uomo sulla donna, che può emergere in situazioni di gelosia sentimentale, può portare a comportamenti violenti quando la donna sfugge al controllo o continua con successo la sua vita indipendentemente dall'uomo.
Anche l’analisi del linguaggio impiegato risulta fondamentale per comprendere e affrontare la radice del problema. L'utilizzo dell'imprecazione “pu**ana Eva” o frasi comuni del tipo “non piangere, non sei una femminuccia” rappresentano solo alcune manifestazioni del linguaggio sessista che non solo alimenta una visione sessuale tossica, ma contribuisce anche a promuovere una percezione misogina delle donne. Questo tipo di linguaggio non è isolato, ma si intreccia nella trama culturale circostante, contribuendo a rafforzare atteggiamenti discriminanti. La trasposizione di ciò sul piano sessuale si traduce nella sottomissione della donna. La convinzione della sua inferiorità contribuisce infatti a giustificare atti violenti a suo danno. Affrontare questo problema richiede un cambiamento culturale radicale e un rinnovato approccio educativo e filosofico del tema.
Una buona educazione affettiva e sessuale è fondamentale per promuovere la consapevolezza e l'uguaglianza. Mettere tutti sullo stesso piano, un piano basato sul consenso e sul piacere reciproco per contrastare le dinamiche dannoseche alimentano la violenza di genere. Tuttavia, questa iniziativa dovrebbe essere parte di uno sforzo più ampio che coinvolge il piano culturale e educativo in generale attraverso l’implementazione di leggi decise. Queste dovrebbero non solo punire severamente i responsabili di atti violenti, ma anche promuovere la prevenzione attraverso l'istituzione di politiche e programmi educativi.
Per estirpare un problema alla radice, è imperativo analizzarne le fondamenta e apportare modifiche profonde. Le radici di molte problematiche sono spesso legate a dinamiche sessuali, da cui scaturisce la differenza di genere. Questa differenza non solo influisce su fenomeni come stupri e violenze, ma permea anche il discorso sulla gelosia. Affrontare la violenza di genere richiede un approccio olistico, un approccio che vada oltre la ricerca di una sola soluzione. Lavorare sulla normalizzazione della gelosia, insieme a una ridefinizione dei concetti di amore e relazioni, costituisce un passo importante nella costruzione di società più sane e rispettose. In questo processo, è essenziale la partecipazione attiva di uomini e donne al fine di promuovere cambiamenti significativi e duraturi.
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