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Questione migranti. Prospettive filosofiche su un problema mal posto

«Tutto già visto, tutto previsto, tutto perfettamente scontato.» Così ha esordito il filosofo Massimo Cacciari, lo scorso 18 settembre, ai microfoni de L’Italia s’è desta, il programma di Radio Cusano Campus condotto da Gianluca Fabi, Roberta Feliziani e Fabio Salamida. Si parla di migranti, delle posizioni dall’Unione Europea in merito e offre un quadro generale, in cui inserire le politiche attuate dal governo italiano.

La Ue ha dimostrato di non avere la minima coscienza della sua missione
17 settembre 2023 - Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, visita l'hotspot migranti di Lampedusa (Italia), accompagnata dalla premier Giorgia Meloni - Riccardo De Luca / Unione Europea, 2023 / CE - Servizio Audiovisivo, Attribuzione, via Wikimedia Commons

L’intervista prende avvio dalla recente visita della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e della premier Giorgia Meloni a Lampedusa. L’ex sindaco di Venezia commenta: «Da anni lo si dice e lo si sa. Vi sono guerre e pressioni economiche e demografiche che spingono centinaia di milioni di persone dall’Africa alle coste del Mediterraneo e da lì verso l’Europa, cioè il cosiddetto Occidente.» Il filosofo suggerisce due strade possibili: «una grande politica mediterranea rivolta ai paesi dell’Africa e una politica interna di integrazione e di accoglienza. Ma manca sia l’una che l’altra in modo clamoroso. Basta vedere come si è comportata l’Europa durante le Primavere arabe.» E ha spiegato i clamorosi fallimenti dell’Ue con azioni che hanno peggiorato la situazione: «la Ue ha dimostrato di non avere la minima coscienza della sua missione.»


Chiarisce inoltre: «Non ho nessuna simpatia per Giorgia Meloni, ma cosa dovrebbe fare», con un’Europa assente ovunque, «se non tentare di trovare accordi che possano contenere i paesi dell’altra sponda?» Schlein avrebbe fatto cose diverse? «Sono le stesse identiche cose fatte dai governi di centro sinistra.»

Massimo Cacciari (Venezia, 5 giugno 1944) - Roberto Vicario, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Si discute di forza-lavoro dei migranti necessaria per i bassi tassi demografici europei, ma i cui flussi vanno governati «tramite accordi politici, economici, culturali e politiche di sostegno. Per intelligente egoismo.» Invece, accusa Cacciari, il governo Meloni fa politiche di respingimento, senza reali sostegni alle famiglie. «Dai ad esempio 1.000 euro al mese a ogni famiglia che fa un figlio in più, inventati qualcosa. Sii logico. Manca totalmente una politica di destra coerente. Chiacchierano di Dio e famiglia mentre assistiamo a migliaia di persone che muoiono annegate senza che venga fatta nessuna politica di destra coerente.»

Un susseguirsi di norme che fino a ora non hanno visto i risultati sperati da Meloni

A proposito di politiche di respingimento, durante la riunione del Consiglio dei ministri di mercoledì sera, il governo Meloni ha approvato un ulteriore decreto contenente misure sull’immigrazione, provvedimenti per facilitare i rimpatri per chi crea problemi di ordine pubblico, per giovani migranti che dichiarano di essere minorenni ma si presume mentano sulla propria età, e per chi comunica dati falsi sulla propria identità. È il quinto in nove mesi, dopo il decreto Piantedosi con i limiti alle Ong, il decreto Cutro per perseguire i trafficanti «nel globo terracqueo», il decreto che ha fissato lo stato d’emergenza, e le norme inserite nel decreto Sud che hanno affidato al ministero della Difesa il compito di supportare il Viminale sul Cpr (Centri di permanenza per i rimpatri). Aggiungiamo poi un decreto extra interministeriale che ha fissato per la prima volta la garanzia di 5mila euro da versare da parte del migrante per non essere inviato in un Cpr. Un susseguirsi di norme che fino a ora non hanno visto i risultati sperati da Meloni, come ha ammesso lei stessa in tv pochi giorni fa.


A fondamento di tutte queste misure ci sono poi le visioni complottiste su cui gli esponenti dell’esecutivo & Co non mancano mai di tenere informati noi, poveri sudditi in serio pericolo. A partire proprio dalla testa, con le dichiarazioni di Meloni nell’ultimo libro (ne escono tanti quanto i decreti!), pubblicato con Sallusti, fino alla coda, come quelle del vicepresidente della Lega, Alessandro Crippa, che ha paragonato le politiche della Germania a sostegno delle Ong a una presunta neo-occupazione stile nazista. Per non parlare della presunta sostituzione etnica paventata dal cognato della Meloni.

C’è una sorta di complicità tra cittadino e Stato. Questi fa leva sul primo garantendogli tutela e privilegi, a patto che ogni cittadino e cittadina difenda lo Stato

Ma non è solo un fatto di destra. Ha ragione Cacciari. Il punto è che il problema è mal posto. Basato cioè su un’ottica statocentrica, dalla prospettiva interna dello Stato-nazione in cui viviamo e tocca trasversalmente tutte le forze politiche in campo nell’attuale panorama europeo e italiano.


Donatella Di Cesare - Cristiano Mantovano, CC0, via Wikimedia Commons

Un’altra filosofa d’eccezione, Donatella Di Cesare, in Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione, pubblicato nel 2017, offre in merito spunti interessanti di riflessione. Osserva infatti che c’è una sorta di complicità tra cittadino e Stato. Questi fa leva sul primo garantendogli tutela e privilegi, a patto che ogni cittadino e cittadina difenda lo Stato. Si crea così una dicotomia: dentro/fuori, per cui la domanda “come governare i flussi” presuppone che il cittadino sovrano decida come amministrare, chi accogliere e chi escludere, dando per presupposto il gesto discriminatorio dell’“io posso mandarti via”.


Un’impostazione ulteriormente aggravata dalla crisi che negli ultimi tempi sta coinvolgendo gli Stati-nazione rendendoli più incattiviti, alzando ancora di più i muri, esercitando con più forza il potere sovrano, con appelli ai cittadini finché difendano i confini statuari. Per Di Cesare, viviamo in una nuova età: quella dei muri e dei campi di internamento. L’Europa, che non ha mai raggiunto la forma politica post nazionale auspicata, è diventata invece un coacervo di Stati nazionali che si spalleggiano e nel contempo sono in competizione tra loro.

Il migrante smaschera la “finzione”, rivelando che lo Stato-nazione non è un fenomeno naturale, ma storico
2 marzo 2023 - Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella in raccoglimento davanti alle bare delle vittime del naufragio di Cutro, raccolte nella camera ardente allestita nel palazzetto dello sport di Crotone - Quirinale.it, Attribuzione, via Wikimedia Commons

Le democrazie sono sorte per proclamare i diritti dell’uomo e del cittadino. Tuttavia fondano la propria sovranità su principi quali omogeneità nazionale e appartenenza territoriale, in netta contraddizione con l’idea di mobilità, fatta emergere dalle migrazioni. Il migrante ne smaschera la “finzione”, rivelando che lo Stato-nazione non è un fenomeno naturale, ma storico. Ne mette in questione il fondamento, ne scredita la purezza mitica e lo costringe a ripensarsi. Per cui è pericoloso, porta con sé una carica sovversiva, costituisce un’anomalia intollerabile, una sfida alla sovranità. È un intruso, un fuorilegge, un illegale, colui che scardina il principio su cui lo Stato si è edificato.


Pur di difendere tale principio, lo Stato è disposto a violare apertamente i diritti umani e a rendere le frontiere non solo uno scoglio contro cui naufragano tante vite, ma anche l’ostacolo eretto contro ogni diritto di migrare. Diritti umani e sovranità statale appaiono inconciliabili anche nelle convenzioni universali e nei documenti giuridici internazionali, palesando la loro impotenza.


Per buona pace di Crippa, è al contrario lo slogan populista e xenofobo dell’“ognuno a casa propria” a esprimere l’eredità hitleriana che si arrogava di stabilire criteri di coabitazione. Un gesto discriminatorio che rivendica per sé il luogo in modo esclusivo, si erge a soggetto sovrano, fantastica una supposta identità con il suolo che reclama come sua proprietà e per cui l’altro non ha alcun diritto.

Nell’esilio planetario della globalizzazione, siamo tutti stranieri residenti.

Bisogna delineare allora la questione in altri termini. Uscire dalla dicotomia dentro-fuori. Pensare dalla prospettiva di chi arriva, dalla migrazione e da una politica dell’accoglienza, che permetta al migrare di essere punto d’avvio e al migrante di essere protagonista di un nuovo scenario. Riconoscere allo straniero il diritto di coabitare. Fondare lo statuto di “straniero residente”. In modo da superare l’ottica statocentrica, il sovranismo statuario, una politica come governance, ridotta a mera amministrazione e risposta poliziesca. Ma di più, va superato un atavico modello di cittadinanza, riconoscere che anche noi siamo stranieri residenti, ben oltre lo ius sanguinis e lo ius loci: abbandonare l’idea che io ho diritto di essere cittadino per discendenza di sangue, perché i miei abitavano qui, perché sono nato qui.

Immagine su Licenze Creative Commons – Autore: Sandor Csudai - Copyright: Sandor Csudai - www.lasinistraquotidiana.it

Sulla terra ciascuno ha avuto un luogo dove prima abitava un altro e di cui non può esigerne il possesso. Nell’esilio planetario della globalizzazione, siamo tutti stranieri residenti. Si tratta di una figura antica e nuova, capace di far saltare quella logica che assegna l’abitare all’autoctono, al cittadino e di collegare lo straniero al risiedere, all’abitare. Che non è un installarsi, uno stanziarsi, un fare corpo con la terra. Lo straniero residente è sia il migrante che il cittadino, entrambi abitano il solco della separazione dalla terra, non se ne appropriano. Va riscritto il significato di “abitare” e di “migrare”. Il concetto di cittadinanza può e deve evolvere, in esso che va iscritta l’ospitalità. Per questo la sfida politica ed etica è il coabitare, dove al centro c’è lo ius migrandi, il diritto umano del nuovo millennio. Ma avrà senso solo nell’ottica dell’ospitalità, quale “diritto di residenza” e richiederà una lotta pari a quella per l’abolizione della schiavitù.

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