Si possono accampare congetture o teorie complottistiche di ogni genere sul perché la Corte penale internazionale abbia deciso di spiccare il mandato di arresto in Italia, e non quando era in Germania, del generale Osama Elmasry Njeem Habish, in arte Almasri, il torturatore libico, che, ricordiamolo, è accusato di crimini di guerra e contro l’umanità (omicidi, torture, stupro, anche ai danni di un bambino). Ciò che conta però è che l’azione del Cpi abbia fatto emergere, dinanzi agli occhi dell’opinione pubblica italiana, tutte quelle che Bruno Vespa, portavoce di Telemeloni, nel suo tentativo grottesco di difendere l’operato del governo (e, direi, del Potere), ha definito: cose sporchissime.
Non che gli italiani più avveduti non ne fossero a conoscenza, ma quantomeno adesso non possono nascondere la testa sotto la sabbia. Sono chiamati a prendere posizione, seppure nell’intimo della propria coscienza o, se ce l’hanno, dinanzi al loro Dio: è giusto, in nome della sicurezza nazionale o della realpolitik, fare accordi con chiunque, anche con chi viene meno ai più elementari diritti umani?
C’è chi dice di sì, e sarebbe disposto persino a giustificare quell’orribile memorandum con la Libia, stipulato ai tempi del governo Gentiloni, dall’allora ministro degli Interni Minniti. Ma poi confermato anche dai governi successivi, di qualsiasi colore, fino ad arrivare a quello attuale di destra: l’esito conclusivo di un lungo processo di continui tradimenti della nostra Costituzione democratica e dei diritti universali. Questa destra ne è l’eccesso osceno, generato dal reiterarsi di quella politica, l’eccesso osceno del potere, per usare le parole del filosofo sloveno Slavoj Žižek.
Allora non deve sorprendere se, ieri, anziché scegliere di dire la verità, di essere trasparenti dinanzi all’opinione pubblica, nella sede parlamentare di una Repubblica democratica (compromessa, tradita?), persino un ministro della giustizia abbia preferito arrampicarsi sugli specchi delle bugie, del latinorum e del suo inglese maccheronico, arrivando addirittura a delegittimare un ordine esecutivo, quindi l’organismo internazionale che lo ha emanato, la Corte dell’Aja, mettendosi a fare l’avvocato difensore o il giudice assolutore del suddetto criminale e venendo contraddetto dal suo ministro collega, quello attuale degli Interni, Pientedosi, che ha riportato una versione totalmente diversa. Non sorprende neppure che il medesimo ministro Nordio, nello stesso tempo, delegittimi il potere giudiziario, uno dei tre pilastri di questa democrazia offesa, paventando contro di essa quasi una vendetta da “soluzione finale”: la riforma della giustizia. Né che egli delegittimi le stesse leggi italiane, sostenendo di non essere un passacarte, nonostante la n. 232 del 1999 e la n. 237 del 2012 che regolano i rapporti con la Cpi parlino di obbligo di cooperazione.
Dovremmo, infine, sorprenderci della fuga della premier, che ha disertato la stessa sede, perché, da quanto abbiamo avuto modo di apprendere, aveva cose più importanti da fare, mandando alla gogna i suoi ministri? Poteva forse perdere la faccia dinanzi allo stuolo del suo 30% di osannatori che, probabilmente, non solo disprezzano il parlamento brutto e cattivo, ma preferiscono la liberazione di un torturatore purché ostacoli le presunte invasioni di migranti e la presunta sostituzione etnica? Per non perdere questo consenso, Meloni ha deciso, come giustamente ha denunciato Elly Schlein, di assumere un atteggiamento da presidente del Coniglio, più che del consiglio, che scappa, scappa dalle sue responsabilità.
E a proposito di Schlein e delle opposizioni: contro di queste si può dire ciò che si vuole, criticarle, come ha fatto una certa stampa ossequiosa e compiacente nei riguardi della maggioranza. Ma per ciò che mi riguarda, mi ritrovo a pieno nelle accuse che loro hanno invece rivolto al governo e al suo "omino di burro" (cfr. Renzi, mio malgrado). Quelle accuse io le sottoscrivo, anzi, come si dice: "mi hanno tolto le parole di bocca". Spero solo che, la segretaria del pd in primis, mantengano le loro promesse, tra cui quella di non commettere gli stessi errori del passato, anteponendo, alle cose sporchissime, come il memorandum, una politica sana, della trasparenza e del rispetto dei diritti umani.