Non un monolite, ma un disegno che può essere ancora emendato. O migliorato, per dirla in politichese. Apre il cantiere la stessa Elisabetta Casellati, ministra delle Riforme e madrina del premierato in salsa tricolore. «Un testo non può mai dirsi blindato» ma «le modifiche richieste – ha detto – devono essere coerenti con la riforma che abbiamo presentato. E l'approccio delle opposizioni non dovrà essere condizionato da pregiudizi».
Coerenza e omogeneità di sostanza: sono dunque queste le traiettorie del possibile dibattito con le forze parlamentari che non siedono tra i banchi del centrodestra affinché le riforme siano condivise. Un dialogo necessario anche per evitare le forche caudine del referendum confermativo. Un’incognita anche per chi ha il vento in poppa. Lo sa perfettamente Matteo Renzi che si è impiccato politicamente a una riforma risultata non solo fin troppo articolata, ma anche decisamente ancorata sul suo destino politico. Il risultato è quello che sappiamo tutti: l’addio prematuro da Palazzo Chigi e l’avvio di una lunga quanto inesorabile parabola discendente.
Una lezione che, tuttavia, i cinque stelle hanno appreso perfettamente. Il taglio dei parlamentari è passato senza intoppi perché chirurgico, limitato cioè a un solo aspetto della Carta, e perché rappresentativo di più parti politiche, tanto da essere votato anche da FdI e da un recalcitrante Pd, riconvertito alle ragioni del populismo sulla scorta degli impegni presi alla nascita del governo Conte 2.
La filosofia della riforma Casellati: stabilità dei governi e elettori protagonisti
La filosofia della riforma Casellati è dichiarata da tempo: garantire la stabilità dei governi e rendere gli elettori protagonisti della scelta del primo ministro. Una richiesta di fatto a ribasso rispetto ai desiderata del partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, che auspicava il varo del cavallo di battaglia semi-presidenziale; evidentemente però ogni altro progetto sarebbe stato abortito nella culla della stessa maggioranza di governo.
Il punto è che questo Paese ha da tempo bisogno di riforme, semplificazione e responsabilità. L’avvio del premierato, soprattutto in questa fase storica, non rappresenta e non può rappresentare uno strumento eversivo. Semmai, la riproposizione in scala maggiore di un modello che ormai da trent’anni sta funzionando alla grande e che segna la serietà del sistema amministrativo: l’elezione diretta dei sindaci.
È dal 1993 che abbiamo metabolizzato le regole del gioco, tanto da non riuscire a immaginare un modello alternativo per gestire la pubblica amministrazione. Per chi lo avesse dimenticato, in passato i sindaci erano eletti in seno ai consigli comunali con una prospettiva di vita non superiore ai sei mesi.
L’elezione diretta dei sindaci, sostenuta da robusti premi di maggioranza, ha garantito agli amministratori di poter lavorare efficacemente senza l’ansia delle imboscate o dei veti incrociati. Una delle poche riforme che funzionato davvero. Perché dunque non esportarla anche in alto? Quali sono le ragioni per temere una formula che da tempo riteniamo salutare?
Anni fa si parlava della necessità di trasformare il premier nel «sindaco d’Italia». Oggi, il Paese sembra prossimo a quello snodo: senza traumi o particolare ritrosie, eccetto i necessari tatticismi politici. Bisogna vedere, semmai, se la Politica è pronta ad assecondare un sentire diffuso che travalica da tempo anche il campo del centrodestra.
Una democrazia che ha avuto la necessità di governi tecnici e salvatori della patria è una democrazia malata
In fondo, lo si può dire senza il rischio di smentite che non siano viziate da interessi non dichiarati: una democrazia che ha avuto la necessità di ricorrere almeno quattro volte nel giro di pochi lustri a governi tecnici e ai salvatori della patria (Ciampi, Monti, Letta e Draghi) è una democrazia che non sta bene. Malata. Qual è la cura? Ricorrere, all’interno di un sistema di regole ben codificato, fatto di pesi e contrappesi, alla funzione benefica del corpo elettorale. Al popolo. Il custode, cioè, di ogni legittimazione politica.
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