Vi starete chiedendo perché abbia deciso di parlare del Grinch, figura notoriamente legata al Natale, proprio adesso che le feste sono passate. La risposta più banale potrebbe essere che ogni buona riflessione sorge sempre dopo che gli eventi si sono compiuti. Riflettere, dal latino reflectere, significa volgere indietro (re- indietro, flectere piegare); e si sa che la Nottola di Minerva, con cui Hegel identifica il cominciamento della riflessione filosofica, spicca il volto al calar del sole, quando il tram-tram giornaliero rallenta ed è possibile cogliere, nella quiete, l’essenza delle cose.
Potremmo così riflettere se, come per gli abitanti di Chinonso, a cui il Grinch rubò il Natale, anche per noi, dopo l’Epifania che tutte le feste ha portato via, sia rimasto un briciolo di spirito natalizio o se invece non sia stato tutto solo una grande abboffata. Ma potremmo anche riflettere su come le convinzioni sbagliate pregiudichino e distruggano rapporti che si credevano duraturi e ne rivelino l’insincerità con cui sono stati vissuti. Ma soprattutto riflettere se sia possibile, com’è capitato al Grinch, superare queste convinzioni e pregiudizi o, se vi piace, bias cognitivi.
Durante queste chiassose feste, ha circolato sui social un meme dedicato a questo fantastico e burbero folletto. Il meme, realizzato, con molta probabilità, da qualcuno che, ferito nei propri sentimenti, dopo qualche esperienza dolorosa dei rapporti umani, in uno slancio di compassionevole identificazione con il Grinch, si è mosso in sua difesa con la seguente frase: il Grinch non odia il Natale, ma l’ipocrisia della gente. Una difesa che cerca di rendere il personaggio anche politicamente corretto, ma che nasce da uno sguardo superficiale che non tiene conto di molti aspetti della storia.
Va detto con chiarezza: il Grinch odia il Natale e non perché la gente sia ipocrita, ma perché egli si è convinto che lo sia. Una convinzione che è tutta nella sua testolina verde: una fantasia, una distorsione, un bias cognitivo, appunto. Il Grinch “crede” che lo spirito natalizio delle persone non sia genuino e la loro felicità esagerata e di facciata, legata al consumo, ai regali, alle luci, alle decorazioni e ad altre cose superficiali ed esteriori. E qui c’è sicuramente una critica al consumismo e – perché no! – all’ipocrisia di certe persone. Ma non è a questo che si riduce questa storia in versi e rime baciate sul Grinch.
Non ci spiegheremmo altrimenti il motivo per cui il suo ideatore, Dr. Seuss (pseudonimo di Theodor Seuss Geisel) lo descriva con il cuore di “due taglie più piccolo”. Né sarebbero comprensibili le azioni che intraprende a causa della sua visione distorta e limitata della gente. Anziché confrontarsi e capire se abbia torto o ragione, il Grinch preferisce prima chiudersi a riccio, isolarsi, con la sola compagnia di chi gli è servile, di chi gli dà sempre ragione e soddisfa i suoi esclusivi bisogni. Un ruolo ingiustamente fatto ricoprire dal cane Max, di cui tra l’altro il Grinch si serve quando poi decide di mettere in atto il suo malefico piano di distruzione del Natale.
E non comprenderemmo neppure il suo intento di vestire i panni del “guastafeste”, se la sua mente non fosse gestita o governata da sentimenti di mancanza di rispetto e disconoscimento degli altri. Ed è singolare che, per compiere questa operazione, il Grinch decida di mascherarsi, indossare gli abiti di Babbo Natale e travestire il cane da renna, trasformandosi in qualcosa che non è, mostrandosi altro da ciò che è: che è poi l’accusa che rivolge a coloro che diventeranno le sue vittime.
Non si comprenderebbe neppure il senso della clamorosa smentita che incassa proprio grazie alle sue azioni. Nonostante il Grinch rubi il Natale alle persone, presuntuosamente giudicate ipocrite, e tolga loro tutto ciò che è esteriore (luci, decorazioni, regali), le persone non perdono lo spirito natalizio, continuano a essere felici, dimostrandogli di essere in torto, che la sua visione è distorta e limitata. Lo spirito natalizio non si nutre di cose esteriori e la felicità degli abitanti del paese Chinonso, è genuina, autentica. Infine, è proprio l’esito finale del racconto, cioè il senso del cambiamento del Grinch che non comprenderemmo. Ed è questo, per tradizione, il punto centrale della storia: il cambiamento morale, le sue condizioni di possibilità. In che modo, si rende possibile?
La filosofa, Iris Murdoch, è convinta che non serva il senso di rispetto, così almeno come lo intende Kant, per motivare le azioni o per rendere possibile il cambiamento morale. Nel suo Esistenzialisti e mistici, propone l’esempio di una madre sensibile e riflessiva che giudica la nuora maleducata, volgare e puerile. Come per il Grinch, anche in questo caso si tratta di una visione distorta. L’unica differenza è che in quest’ultimo tale credenza diventa eclatante perché genera azioni conseguenti, mentre nell’esempio della Murdoch, la suocera continua ad avere nei riguardi della nuora un comportamento esternamente corretto. Pertanto perplessa per via del suo atteggiamento di ostilità, in seguito a una riflessione e prestando più attenzione, alla fine, la donna riesce a vedere la nuora per com’è: spontanea anziché maleducata, semplice invece che volgare, gaia, ma non puerile. Il suo mutamento, quindi, non solo non è osservabile da un punto di vista esterno e interessa “solo” la sua mente, ma viene generato da un esercizio continuo di attenzione e immaginazione.
Il cambiamento del Grinch però e della donna non avviene solo da un punto di vista di credenze o di emozioni. In entrambi i casi, la loro visione distorta e limitata muta grazie a quella che un’altra filosofa, Carla Bagnoli, chiama «trasformazione della base normativa e motivazionale dell’azione.»
In L’autorità della morale, Bagnoli osserva che sebbene la donna non abbia mai fatto niente di sbagliato, quando scopriamo le sue riserve nei confronti della nuora, le sue azioni – pur esternamente buone – non suoneranno veramente genuine. Perché? Bagnoli rilegge lo stesso esempio, proprio con parole kantiane: all’inizio la donna agisce “in conformità al dovere” (motivata cioè dal desiderio di non ferire il figlio o di non mostrarsi sgarbata), ma dopo il cambiamento agisce “per dovere”, motivata cioè dal rispetto incondizionato. Solo dopo aver adottato una ragione informata dal rispetto della nuora la sua condotta acquista valore morale e autenticità, anche se l’azione precedente al cambiamento era comunque conforme al dovere, un’esecuzione perfetta di come una persona dovrebbe comportarsi. Un simile cambiamento può sopraggiunge solo per via di una riflessione; ne siamo capaci cioè in quanto menti auto-riflessive. La donna che matura rispetto comprende cosa le può essere legittimamente richiesto da un’altra persona, a quali obblighi è sottoposta. Seppure incline all’arroganza e alla gelosia, è consapevole di esserlo e questa consapevolezza, che arriva dall’auto-riflessività, le fornirà anche i mezzi per risolvere il suo problema (con se stessa e con la nuora).
A questo punto, Bagnoli evidenzia anche similitudini tra il concetto di rispetto kantiano e lo “sguardo amorevole” di cui parla Murdoch. La donna (e, ancora una volta, anche il Grinch con gli abitanti di Chinonso), dopo una lunga e dolorosa deliberazione, percepisce la nuora “amorosamente” perché la percepisce com’è, indipendentemente da come avrebbe voluto che fosse. Guadagnare una visione chiara degli altri significa essere capaci di rispettare i confini degli altri e apprezzare la manifestazione della loro personalità peculiare. Lo sguardo amoroso è lo sguardo della distanza e non dell’attrazione che ha origine in un bisogno ed è diretta a certe caratteristiche sensibili di un oggetto. Lo sguardo amoroso, invece, si origina dal riconoscimento dell’altro come altro, indipendentemente dai desideri e dalle aspettative che abbiamo verso di lui. Scrive Bagnoli:
«Come il rispetto per Kant, l’attenzione amorosa costringe l’agente ad un esercizio di umiltà, attraverso il quale vengono vagliate le pretese egoistiche. Meno siamo concentrati su noi stessi, più diventiamo attenti, sensibili alle richieste che gli altri ci impongono in quanto persone.»
Il resoconto kantiano dunque ci fornisce gli strumenti per spiegare non solo il cambiamento, ma un miglioramento della donna e del Grinch. La condizione di possibilità del cambiamento morale è che entrambi rappresentino la loro azione come motivata dal rispetto della legge morale. Se il loro problema è come mettersi in relazioni alle persone, la soluzione consiste nel porsi in una relazione che esprime rispetto. Se anche il comportamento esteriore, almeno per la donna, appare invariato a un osservatore esterno, le sue azioni sono diverse perché motivate da ragioni diverse. Prima agiva per buona creanza, ora agisce per rispetto. Mentre per i Grinch, se prima era convinto che le persone fossero ipocrite, dopo il cambiamento, impara a guardarle con rispetto e riconoscimento: le riconosce per quelle che sono, le guarda – se vogliamo – per la prima volta. Con l’adozione di questa nuova motivazione, corregge la convinzione iniziale con cui prima governava le azioni. Anche per intraprendere un percorso psicoterapeutico e analizzare le basi di quelle convinzioni per superarle, è necessario un precedente cambiamento di prospettiva, un nuovo pre-disporsi.
«Il cambiamento morale – conclude Bagnoli – consiste nell’essere trasformati dall’adozione di un ideale, dalla comprensione di se stessi come agenti che fanno proprio un certo fine. Siccome si adotta un nuovo fine, si diventa sensibili ai fatti e ai dettagli che sono rilevanti per la realizzazione di quel fine. Si tratta perciò di un ri-orientamento complessivo e radicale, una specie di rivoluzione interiore.»
Se così non fosse, saremmo per sempre condannati ad avere un cuore di due taglie più piccolo.
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