Il recente stop di Mark Zuckerberg al fact-checking su Meta pone domande complesse di natura sociale e solleva implicazioni etiche e politiche. Se da un lato, la fine del fact-checking su Facebook e Instagram apre il campo a una maggiore libertà d’espressione, dall’altro amplifica, senza dubbio, il rischio di disinformazione e diffusione di fake news. Questo squilibrio potrebbe trasformare i social media in un’arena in cui verità e falsità finirebbero per diventare indistinguibili, minacciando il dibattito pubblico e la ricerca consapevole.
Chi dovrebbe controllare l’informazione, e come farlo senza sfociare nella censura?

Il controllo editoriale sui social è essenziale per garantire l’affidabilità delle informazioni, soprattutto in un contesto in cui le fake news possono facilmente proliferare con conseguenze gravi (dalle elezioni politiche alla salute pubblica). Tuttavia, una regolamentazione percepita come arbitraria o ideologicamente orientata solleva preoccupazioni sulla libertà di espressione e sull’imparzialità di chi gestisce tali piattaforme.
Un controllo efficace e ponderato dovrebbe prevenire il rischio di un’anarchia informativa, che potrebbe trasformare i social media in quello che il filosofo Thomas Hobbes (1588-1679) definiva “lo stato di natura”: un caos in cui prevalgono le narrative più rumorose, spesso a scapito delle minoranze e della verità.
Zuckerberg ha annunciato anche l’eliminazione dei programmi per diversità, equità e inclusione (DEI). Tale decisione supera di gran lunga il semplice ambito amministrativo. Questi programmi non servono solo a garantire una rappresentanza equilibrata, ma incarnano anche un impegno concreto verso valori fondamentali come la giustizia sociale, il progresso della società e il rispetto delle differenze individuali e culturali. La loro abolizione potrebbe aprire la strada a un ambiente meno regolamentato, favorendo discorsi d’odio, discriminazione e teorie complottiste.

Molti hanno ravvisato nella decisione di Zuckerberg una mossa strategica per avvicinarsi alle posizioni dei leader americani: Donald Trump e Elon Musk. I due hanno criticato apertamente la moderazione dei contenuti e delle linee guida sui social. Questa scelta potrebbe dunque derivare da pressioni politiche oppure dalla mera volontà di abbracciare un modello di regolamentazione più permissivo, volto a favorire la “libertà d’espressione”. Tuttavia, il rischio è quello di alienare una parte significativa degli utenti, che potrebbe interpretare questa scelta come una rinuncia alle responsabilità sociali della piattaforma, contribuendo a rafforzare la polarizzazione politica e sociale.
La domanda che ci poniamo è la seguente: meglio un controllo che rischia di essere imperfetto e restrittivo o una totale libertà che può degenerare in anarchia informativa?