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Lutto nazionale per il Papa: rispetto sì, ma la laicità prima di tutto

Cinque giorni di lutto nazionale per la morte del Papa. Un fatto senza precedenti nella storia recente della Repubblica Italiana. Mai, neanche per figure laiche di altissimo profilo, era stato disposto uno stop collettivo così lungo e solenne. E mai, soprattutto, era accaduto che il dolore religioso entrasse così a fondo nella sfera pubblica. Un'anomalia che lascia interrogativi pesanti, anche alla luce della coincidenza temporale con il 25 aprile, Festa della Liberazione. Per una parte consistente del governo, si sa, quella festa è più un fastidio che una celebrazione, definita più volte divisiva. Non stupisce, quindi, che qualcuno legga nella durata abnorme del lutto un tentativo implicito di "ammorbidire" i toni della ricorrenza più laica e antifascista del nostro calendario.

Il rispetto dovuto alla figura di un pontefice — soprattutto di un Papa che su temi come la pace e l'accoglienza ha segnato aperture importanti — non è in discussione. La morte di chi ha saputo parlare ai fedeli e ai non credenti, a chi è ai margini e a chi cerca un senso nel disorientamento globale, merita cordoglio e riflessione. Tuttavia, il rispetto non deve trasformarsi in sudditanza. Il Papa è il capo di una religione, e in Italia, per quanto radicata e storicamente centrale, non esiste religione di Stato. La laicità non è un orpello formale: è l’essenza stessa della nostra convivenza democratica. Ed è proprio in nome di questa laicità che va ricordato, senza ipocrisie, che il Pontefice non era un capo "neutro". Era e resta il rappresentante di una dottrina che continua a opporsi a diritti civili come aborto, eutanasia, identità di genere e libertà sessuale. Temi su cui la società italiana si è evoluta, talvolta faticosamente, ma con decisione e su cui una parte crescente della popolazione reclama autonomia dalle imposizioni religiose. Le aperture di Papa Francesco su migranti, giustizia e sulla pace nelle attuali guerre ai confini europei, seppur significative, non cancellano il peso delle posizioni che, nel concreto, si oppongono all'autodeterminazione delle persone.

 

Cinque giorni di lutto non sono soltanto un omaggio. Sono un messaggio politico. Un messaggio che rischia di comprimere la memoria collettiva di chi, il 25 aprile, ha voluto celebrare la liberazione del nostro Paese dal nazifascismo, e onorare la memoria di coloro che sacrificarono la loro vita per la libertà

 

Onorare la memoria di un grande leader spirituale è doveroso. Ma la Repubblica deve essere grata anzitutto a sé stessa, ai suoi valori di libertà, pluralismo e laicità. Non possiamo permetterci di sacrificare questi principi sull'altare di nessun culto, per quanto popolare. La risposta degli italiani alla volontà del Governo di un 25 aprile “sobrio” è stata forte e non senza polemiche. A migliaia ieri nelle piazze di tutta Italia hanno festeggiato la liberazione, e altrettanti oggi a Roma hanno omaggiato il Papa per un ultimo saluto evidenziando quanto la richiesta di sobrietà fosse fuori luogo ed inopportuna.

Lula Oficial,CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons
Lula Oficial,CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons


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