Un'epidemia pestilenziale ha colpito l'umanità nella facoltà che più la caratterizza: l'uso della parola. Una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l'espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze.
Una pioggia di molteplici immagini immediate, istantanee e fugaci, investe il nostro quotidiano. Priva di forma e significato, senza possibilità alcuna che si fissi nella nostra memoria e nel nostro inconscio, lascia solo un vuoto e un profondo disagio. Questa peste si estende a ogni ambito dell’esistenza umana: l’intera vita delle persone e la storia delle nazioni sono rese «informi, casuali, confuse senza principio né fine».
È ciò che scrive Italo Calvino in Lezioni americane. Siamo nel 1985, ma le sue parole risultano essere, oggi più che mai, ancora di grande attualità. Ciò che è importante non è sapere se l'origine di quest'epidemia vada ricercata nella politica, nell'ideologia, nell'uniformità burocratica, nell'omogeneizzazione dei mass-media, nella diffusione scolastica della media cultura, ma chiedersi quali siano i rimedi. Calvino li rintraccia nella letteratura, la quale, sola, può fornire gli anticorpi. Per questo, è legittimo riporre la nostra fiducia nel suo futuro.
«Ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici»
Calvino compone l’opera in occasione di sei conferenze che avrebbe dovute tenere ad Harvard nel Massachusetts e in cui si prefigge di analizzare per ognuna un valore letterario, situato nella prospettiva del Nuovo Millennio. L’opera resterà incompiuta. Ma l’obiettivo viene raggiunto. Egli scrive cinque lezioni in cui i valori corrispondenti sono posti in alternativa a cinque aspetti negativi della comunicazione mediatica, che Calvino reinterpreta e capovolge all’interno di un orizzonte nuovo, quello della letteratura e dell’estetica appunto, mediante ciò che definisce una «visione indiretta».
Lo scrittore deve potersi accostare al mondo come Perseo che, con lo scudo, capta l’immagine, in modo indiretto e speculare, e affronta e decapita Medusa.
Ne fa menzione quando descrive la leggerezza. In questo primo valore della letteratura, riacquistano significato la frivolezza e la banalità della comunicazione. Si tratta della capacità di sottrarre peso alla realtà, mediante la mobilità e la vivacità dell’intelligenza. È un modo di leggere il mondo circostante: l’atteggiamento che lo scrittore deve assumere quando rappresenta, con il romanzo e nel romanzo, la realtà del suo tempo. Affinché le brutalità ispide e tediose non lo pietrifichino come lo sguardo fatale della Gorgone. Lo scrittore, per Calvino, deve potersi accostare al mondo come Perseo che, con lo scudo, capta l’immagine, in modo indiretto e speculare, e affronta e decapita Medusa.
Con il medesimo strumento, lo scrittore affronta la velocità cieca e cinica dell’era della meccanica, della tecnologia e dell’informatica, come narra, in The English Mail-Coach, De Quincey. La velocità acquista valore letterario nella rapidità mentale, pronta a unire ritmicità e stile nella concisione di espressioni verbali felici e cariche di densità insostituibile, raggiunte attraverso una paziente mediazione riflessa. Calvino descrive l'operazione con le figure di Mercurio e Vulcano: il primo, alato, rappresenta velocità e sintonia, il secondo, claudicante e forgiatore di gioielli per gli dei, lentezza e focalità. «Il lavoro dello scrittore deve tener conto di tempi diversi: il tempo di Mercurio e il tempo di Vulcano, un messaggio d’immediatezza ottenuto a forza d’aggiustamenti pazienti e meticolosi».
Il terzo aspetto negativo del linguaggio mediatico è l’approssimazione che, nella letteratura, diviene indeterminatezza combinata con l’esattezza: astrazione geometrica, «riduzione degli avvenimenti contingenti a schemi astratti» e attenzione e «maggiore precisione possibile dell’aspetto sensibile delle cose». L’esattezza è una tensione che combina insieme razionalità e groviglio multiforme e indefinito di esistenze umane. Mediante questo valore, la letteratura crea gli anticorpi che contrastano l’espandersi della peste del linguaggio: «la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere».
Lo stesso accade con l’invasione delle immagini, vinta dalla letteratura con la visibilità: la capacità di dar forma espressiva e unicità emblematica a un’immagine visuale. Calvino pensava a una vera e propria pedagogia dell’immaginazione, «che abitui a controllare la propria visione interiore senza soffocarla e senza d’altra parte lasciarla cadere in un confuso, labile fantasticare, ma permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita, memorabile, autosufficiente, “icastica”».
C’è infine il caos del dispositivo comunicativo, dove ogni determinazione è assorbita e annullata nel confusionismo di determinazioni divergenti senza percezione alcuna delle loro differenze. Questo disvalore è ridisegnato da Calvino all’interno dell’orizzonte universale alternativo della letteratura, divenendo addirittura una vocazione: rappresentare la molteplicità come un’infinita e potenziale rete di relazioni tra cose, persone, eventi, come lo «gnommero» del dottor Ingravallo, personaggio di Carlo Emilio Gadda. Nei romanzi del xx secolo prende forma «l’idea d’una enciclopedia aperta» in cui lo scibile umano è raccolto non in un circolo chiuso, ma in una totalità potenziale, congetturale, plurima. Nel romanzo enciclopedico, il disegno generale, minuziosamente progettato, non si chiude in una figura armonica, ma si sprigiona come forza centrifuga e pluralità di linguaggi, garanzia di una verità non parziale.
Lo scrittore porta in sé, nel sovra-interessamento, un universo simbolico.
In questa sede Calvino analizza il coinvolgimento dello scrittore. Auspica sì, una messa tra parentesi del suo «self», affinché si possa far parlare il mondo de-umanizzato, ben oltre i limiti individuali, tuttavia riconosce che il non-coinvolgimento è impossibile. Anzi, si arriva addirittura a una trasformazione, deformazione del conosciuto da parte del conoscente: l'epistemologia deformante di Gadda. Paradossalmente è qui che il senso di tutti i valori giunge al punto massimo, esprimendo la visione indiretta. È un processo simile al “sovrinteressamento” su cui Baudelaire fonda il surnaturalisme, un investire la realtà di un interesse superlativo - come scrive Mario Perniola in Contro la comunicazione - dandogli senso e significato nel filtro della memoria e dell’immaginazione poetiche. È come se le brutture venissero trasfigurate «in un mondo simbolico che le rende comprensibili e le lega agli aspetti del sentire e del pensare».
Se il fenomeno della comunicazione ingloba nel suo dispositivo tutta la realtà (Medusa), questa riacquista senso solo capovolgendosi nella visione indiretta (lo scudo), quindi attraverso il coinvolgimento del self dello scrittore (Perseo). Egli porta in sé un universo simbolico, per cui è già de-soggettivizzato. In questo universo, inserisce e filtra la realtà, il mondo e le sue brutture, trasfigurandoli con i suoi valori e i simboli.
Non si tratta di una strategia dell’entrismo: una politica che agisce dall’interno di ciò che vuole combattere col rischio, alla fine, di imitarlo. Secondo Perniola, l’atteggiamento di Calvino è di porsi in aperto conflitto con la (non-)cultura onninglobante della comunicazione mediatica. La visione indiretta è la proposta di un universo alternativo in cui funziona un peculiare sistema di simboli e significati, capace di investire la realtà (vita, stile delle persone, comportamenti, società, culture, politiche) di un interessamento nuovo, suggestivo, avulso da ogni tornaconto: un disinteresse interessato. È un universo meta-estetico in cui letteratura, poetica, arte sono le espressioni più alte. Ed è ciò che offre Calvino a noi, generazioni del Terzo Millennio.
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