In Italia c’è una destra che si distingue dagli altri paesi del mondo occidentale democratico per via del suo rapporto conflittuale con le leggi e con la magistratura che dovrebbe farle rispettare. La normalità dovrebbe essere una destra che fa della legalità, del rispetto delle istituzioni una stella polare e un punto rilevante della propria scala di valori. Anche gli ultimi fatti di cronaca, come il processo Open Arms al ministro dell’interno Salvini o il richiamo in Italia di tutti i migranti trasferiti al CPR in Albania, ci mostrano quanto le forze di governo siano refrattarie al rispetto delle leggi e alle prerogative della magistratura, ogni volta che queste si frappongono alla loro azione e ai loro desiderata.
Questa anomalia tutta italiana, che sembra cominci a fare scuola altrove (vedi il caso delle indagini su Donald Trump negli USA con le sue accuse di complottismo dei democratici), ha una genesi ben nota: la discesa in campo politico di Silvio Berlusconi. Il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica ci ha portato una classe politica, soprattutto all’interno della destra, che è stata plasmata a immagine e somiglianza di Silvio Berlusconi, refrattaria alle regole e al rispetto dell’autonomia della magistratura, fenomeno sconosciuto prima di allora in qualsiasi partito politico.
La prima conseguenza di questa visione distorta della democrazia è l’arrogarsi il diritto, per il solo fatto di essere stati eletti, di essere più uguali degli altri. Se uno ha preso i voti allora è superiore alla legge e a chi la amministra, proprio perché i giudici non sono stati eletti da nessuno. Capite che in questo modo la democrazia si trasformerebbe in un arbitrio della maggioranza, anzi di una minoranza qualificata (quando va bene). Non dimentichiamoci che raramente chi governa ha la maggioranza assoluta dei votanti.
La democrazia è un meccanismo complesso che per funzionare veramente e non sfociare nella tirannia della maggioranza, deve poggiare sui solidi capisaldi della separazione dei poteri, dell’indipendenza della magistratura dal potere politico, del diritto al dissenso e alla libertà di opinione e del rispetto delle minoranze. Se già si nega l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, come si può pensare di essere ancora in un paese democratico?
Ma oltre a questa narrazione distorta se ne aggiunge un’altra, il vittimismo dei nostri governanti ogni volta che qualche magistrato intralcia i loro piani o indaga qualche membro di governo, applicando la legge. Ecco che arriva un altro elemento dell’eredità berlusconiana, i giudici comunisti manovrati dall’opposizione. Così i magistrati che processano un ministro per aver bloccato i migranti fuori da un porto (processo Open Arms) o con un provvedimento fanno rientrare in Italia i profughi spediti in Albania per non aver rispettato le direttive UE sui richiedenti asilo politico, non applicano la legge o la Costituzione ma lavorano per l’opposizione e per intralciare l’azione di governo, che sostiene di proteggere i confini della nazione.
Poco conta che questa narrazione sia suffragata da prove. Andare a vedere il provvedimento giudiziario nel merito è l’ultima delle preoccupazioni di chi sostiene la tesi dei giudici comunisti, l’importante è sventolare lo slogan a furor di popolo. In fondo è molto meglio aver trovato un comodo capro espiatorio che assumersi la responsabilità dei propri fallimenti.