È sincera e cruda, priva di romanticismo e sacralità, la scena della natività che il regista, Guido Chiesa, affresca nel suo film del 2010 Io sono con te dedicato alla vita di Maria.
C’è una giovane ragazza, semplice, dalla pelle olivastra (interpretata dalla giovane attrice, Nadia Khlifi, credo tunisina); quindi non bianca, non ariana, come ci hanno abituato a vedere e a immaginare, nelle varie raffigurazioni e in altri film, la madre di Dio. Dopotutto quella originale è palestinese. Questa ragazza palestinese, da sola, lontana da occhi indiscreti, in una stalla di un villaggio di pastori, Bethlehem, dà alla luce un figlio. Immediatamente lo prende tra le braccia e lo allatta, sfidando le regole e le ritualità del popolo eletto. Il popolo a cui lei appartiene e che pretende prima la purificazione della madre. Lo stesso nome che lei dà al bambino va contro queste regole, secondo cui avrebbe dovuto darglielo il padre e chiamarlo come i membri della famiglia di lui e dei suoi padri.
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La figura della giovane ragazza di Nazareth, nell’interpretazione di Guido, invece decidere di non stare al «suo posto», quello che gli impone la società sessista e patriarcale in cui vive. Ma di contrapporsi, con coraggio e fermezza, ma anche con autentica genuinità e gentilezza, a usanze, costumi, leggi e rituali, tradizioni e pratiche come la circoncisione e i sacrifici al Tempio, da lei considerati versamento di sangue inutile, cruento e crudele. In un ambiente, tra l’altro, dominato da maschi, i quali, siano essi re o imperatori, pescatori o carpentieri, oppressori e oppressi, soldati o rivoltosi, sottostanno a quella sola regola: quella appunto del versamento di sangue e della violenza, sia si tratti di rituali e tradizioni religiose, sia si tratti di rivolte contro l’oppressore. Lei, Maria, quindi rompe lo schema e così facendo riesce anche a vincere le resistenze dello sposo, Giuseppe, che si lascia convincere dalla sua autodeterminazione.
Ed è proprio la capacità educativa di questa autodeterminazione nelle scelte di Maria il centro del film di Chiesa. Aspetto che si rende evidente nella relazione di rispetto e riconoscimento che lei intrattiene con il figlio.
L’altra scena su cui vorrei puntare l’attenzione è infatti l’incontro con i sapienti greci che giungono in Giudea alla ricerca del Messia divino. Nel visitare le case dei palestinesi, costoro sottopongono a esami psico-attitudinali i bambini, per verificare se vi sia qualcuno con doti straordinarie e divine. Ma non ottengono alcun risultato soddisfacente. Un giorno, però, assistono a una scena insolita. Un bambino sale indisturbato sull’orlo di un pozzo e vi cammina sopra. Sebbene la madre sia nelle vicinanze, intenta a zappare un orticello, apparentemente pare non si curi di lui. I sapienti, allarmati, le gridano contro, rimproverando la sua negligenza. Da “veri” maschi!
Ma lo stesso gesto del figlio di Maria si ripete nei giorni successivi. Questa volta, però, i sapienti restano a osservare: il bambino cammina sul bordo e non cade. E, finalmente interrogata la madre, giungono a una conclusione rivelatrice:
«Forse oggi abbiamo appreso qualcosa di importante sulla natura dell’uomo e le leggi che la governano. Noi stiamo cercando un bambino, il soccorritore divino. Ce lo immaginiamo dotato di poteri soprannaturali. E se fosse invece un bambino qualunque e se fosse invece il modo in cui sta crescendo a renderlo speciale, un giorno? Se quella madre avesse impedito al figlio di avvicinarsi al pozzo o avesse limitato in qualche modo la sua libertà, la sua sana libertà, avrebbe compromesso la sua fiducia in se stesso. Al contrario, lasciandolo libero, l’ha favorita. Allora, potrebbe essere questo il prodigio: una madre che crede fino in fondo nel suo bambino. Tutti e due che agiscono secondo le leggi che Dio ha inscritto in noi. Quella ragazza, l’avete vista? È una meraviglia con il suo bambino. Porta in sé una tale saggezza! Miei cari amici, al confronto, tutto il nostro sapere non vale niente, o quasi. Lasciamo fare a lei. Se insistiamo, rischiamo di rovinare tutto.»
Nessun miracolo! Ciò che favorisce e caratterizza quest’esperienza umana è l’autodeterminazione e il coraggio di una donna grazie ai quali intesse rapporti di fiducia, rispetto e riconoscimento, innanzitutto con suo figlio.