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Intervista a Maria Andaloro (Posto Occupato). Cosa fare e a chi rivolgersi se si è vittime di violenza

Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Noi de La Bottega delle Filosofie vogliamo parlarne dando un aiuto concreto alle donne che vivono una situazione di violenza. Nell’intervista con Maria Andaloro, fondatrice della campagna “Posto Occupato”, i consigli pratici da mettere immediatamente in campo per uscire dalla spirale di un fenomeno che è compito di tutte e tutti contrastare e sconfiggere.

Maria Andaloro, fondatrice della campagna “Posto Occupato”

In Italia ogni tre giorni si registra un nuovo femminicidio e i numeri della violenza contro le donne non accennano a diminuire. Si parla spesso di prevenzione, informazione, formazione. Molti, invece, invocano misure repressive più restrittive. Secondo lei quali sono le strategie veramente efficaci per il contrasto al fenomeno?

 

Inizio e chiudo i mei interventi ripetendo, come un disco rotto, che la violenza è un problema culturale e una responsabilità sociale. Ho l’impressione, da qualche tempo, che i freddi numeri aumentino la distanza tra il fenomeno e la responsabilità sociale che riguarda tutti.

 

La repressione e l’inasprimento delle leggi non hanno modificato il comportamento e la cultura violenta che porta a commettere reati contro le donne e questo si, ce lo dicono i freddi numeri, la cronaca e tutto il sommerso che emerge tra una confidenza e l’altra quando vado nelle scuole o quando scrivono su fb o via mail.

 

Punire è tardivo, non ferma il pensiero, lì dove nasce la cultura violenta. L’inasprimento delle leggi non impatta quasi mai sull’educazione, ma riguarda il “dopo”, che nella violenza corrisponde sempre col “tardi” perché il danno è stato fatto.

 

Ci sono interventi che si possono fare a breve, medio e lungo termine e tutto passa dalla prevenzione.


A breve termine con gli adulti per sensibilizzarli al tema, a medio e lungo termine nelle scuole di ogni ordine e grado. E, a proposito di scuole, è necessario introdurre l’educazione sentimentale, i ragazzi e le ragazze hanno bisogno di sapere e capire come poter coltivare la relazione con l’altro, che sia di amicizia, di amore o professionale. Rispetto, valore, diritti, doveri e reciprocità dovrebbero essere alla base di tutte le relazioni.

 

È fondamentale, inoltre, far sentire meno sole le donne, consapevoli o inconsapevoli di essere vittime. Farle sentire meno indifese. Le istituzioni devono aiutarle, perché si fidino e si affidino a loro.


Ed è necessario andare nei centri antiviolenza e rivolgersi alle forze dell’ordine.

 

Circa un anno fa veniva brutalmente ammazzata Giulia Cecchettin ed è di questi giorni la notizia della sentenza su Alessandro Impagnatiello per l’assassinio di Giulia Tramontano. Casi che hanno destato grande attenzione mediatica, ma, nei fatti, nulla sembra essere cambiato. Crede che i media abbiano una responsabilità nella narrazione della violenza contro le donne?

 

Ancora oggi, se chiedo nelle scuole chi è l’ultima donna vittima di femminicidio, la risposta è “Giulia!” C’è un prima e un dopo Giulia. Poi nomino Aurora (la ragazza di Piacenza uccisa dal fidanzato, erano entrambi minorenni) e cala il silenzio. Nell’informazione c’è senza dubbio una responsabilità dei media.

 

Si dovrebbero segnalare, ad esempio, a ogni notizia di violenza, i numeri utili e i CAV più vicini.

 

Fra le altre cose, oltre al linguaggio discriminante e portatore di stereotipi (“come era vestita, a che ora si trovava da sola fuori casa, se era ubriaca o drogata, lui era un bravo ragazzo”) ritengo un messaggio pericoloso sottolineare che alcune donne sono morte dopo aver denunciato. E’ vero, ma sono centinaia le donne salvate di cui non giunge notizia, a causa della tutela della privacy, o perché chi esce dalla spirale della violenza vuole godere giustamente della ritrovata serenità. In questo modo si rischia di scoraggiare chi, seppur con paura, ha la volontà di denunciare.

 

I media dovrebbero fare estrema attenzione alle modalità con le quali divulgano le notizie, trasformando spesso temi così delicati in gossip.

 

Lei è stata di recente insignita del “Premio internazionale Standout Woman Award” per l’impegno profuso a sostegno delle donne con la campagna Posto Occupato. Com’è nata l’idea della campagna e in cosa consiste?

 

Un importante riconoscimento per il quale ringrazio Anna Maria Gandolfi e tutta la commissione per aver scelto la campagna. Posto Occupato nasce nel 2013, il 29 giugno, distante dal 25 novembre proprio per la necessità di sollevare nel quotidiano il problema della violenza di genere che troppe volte culmina nel femminicidio. Che, voglio ricordarlo, non è un incidente, ma un reato che colpisce le donne in quanto donne. Che nega la loro autonomia e indipendenza, che considera il possesso una forma di amore, la gelosia un metro per valutare il legame e la violenza un linguaggio per comunicare i “sentimenti” che regolano le relazioni tossiche. Ecco cosa era necessario: raccontare che c’è molto da fare prima di arrivare all’irreparabile che è quel posto vuoto, assenza - presenza, memoria e monito. Dovevamo e dobbiamo ricordare quelle donne che, passato il momento dello sgomento collettivo, sparivano fra le mura di quelle case che le aveva viste protagoniste delle loro storie di vita e di morte. Figlie, madri, sorelle, colleghe, vicine di casa che sparivano dalla società e che rappresentano il fallimento di tutti. Perché non siamo arrivati in tempo. Così, grazie a un lungo confronto, soprattutto con la mia amica e grafica Magra di Gennaro, è stata concepita la locandina di Posto Occupato. Per non dimenticare queste donne e per invitare alla riflessione tutte e tutti. Ogni giorno.

 

Quali sono i consigli che si sente di dare a una donna vittima di violenza domestica? Quali sono i segnali da non sottovalutare e qual è la prima cosa da fare?

 

Il consiglio è imparare a riconoscere i primi segnali e chiedere aiuto a chi ha la capacità di analizzare i rischi e dare il giusto orientamento, mi riferisco ai CAV, alle forze dell’ordine, ai servizi sociali. Non sottovalutare mai i segnali, meglio fugare i dubbi che rischiare di subire, qualsiasi sia la forma di violenza. Non si deve arrivare necessariamente alla violenza fisica per comprendere la gravità del caso. La violenza psicologica e quella economica sono tunnel di sofferenza che spesso sfociano nella violenza domestica, anche in quella assistita, e a pagare, oltre alle donne, sono i figli. Nell’emergenza chiamare il 112 e, suggerisco, scaricare le app che consentono di chiedere aiuto in silenzio grazie alla geolocalizzazione. Ripeto, non bisogna mai sottovalutare i segnali della violenza, ma rivolgersi subito a chi è preparato a intervenire. Accanto a noi c’è un numero altissimo di donne salvate dalla loro capacità di trovare la via d’uscita.

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