Tra migliaia di libri che mi osservavano seduti sugli scaffali della libreria del centro, tra i “Nuovi arrivati” vedo una copertina colorata, un gattino bianco disegnato di lato e un titolo apparentemente poco appetibile: Il magico studio fotografico di Hirasaka. Mi sono avvicinato e ho voluto leggere il retro della copertina, che recita così:
«Benvenuta nel mio studio fotografico, signora Hatsue. Queste fotografie raccontano la sua vita: le è concesso di tornare indietro nel tempo e scattare di nuovo la sua foto preferita. Ma potrà farlo solo una volta e non potrà parlare con nessuno. È pronta?».
Da copertina poco convincente in breve tempo – proprio quel minuto per leggere – è diventato il libro da comprare necessariamente. Mi aveva talmente incuriosito che, tra la lista dei libri da leggere, è salito in cima; tanto da tornare a casa, sedermi sul divano e iniziare a leggere le prime pagine.
E la storia narra dello studio fotografico di Hirasaka, un luogo dove molti fanno visita, così come quei tre personaggi – una novantenne ex insegnante, una ragazzina e un membro della yakuza – che iniziano a far conoscenza con quello strano fotografo. Dopo essere stati serviti, vengono informati delle diverse offerte dello studio fotografico. In tutti i racconti, ai tre personaggi, Hirasaka consegna uno scatolone pieno di foto-ricordo della loro vita e, dopo un’attenta analisi, offre loro di rivivere il proprio ricordo più prezioso e avere, così, la possibilità di scattare nuovamente la fotografia di quell’istante. L’unica regola da seguire è la impossibilità di interagire con chi è coinvolto nel ricordo, perché lo studio fotografico di Hirasaka si trova al confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
In Giappone esiste un’antica tradizione – la lanterna girevole dei ricordi – che riguarda i luoghi di passaggio in cui le persone, prima di abbandonare definitivamente il mondo, rivivono dei flashbacks della loro esistenza terrena. Ebbene, queste tre storie mostrano lo studio fotografico come un luogo in cui ripensare il proprio cammino vissuto: gli amori e le perdite, l’importanza degli attimi.
Probabilmente le premesse e le mie aspettative erano molto alte verso questo libro o, forse, non ero nel mood giusto per poter affrontare un argomento così delicato come la morte. Ma le tre storie che Sanaka Hiiragi ha raccontato, non mi sono particolarmente piaciute. Le ho percepite vuote, senza un concreto filo logico e solo fini a se stesse. Eppure, l’argomento affrontato ha un enorme potenziale emotivo e razionale. È un tema interessante che è, appunto, il trait d’union delle storie: lo studio fotografico come “limbo”, come quel luogo di passaggio dell’antica tradizione giapponese, di un “ponte” sospeso tra la vita e la morte.
Mi sono sempre chiesto cosa ci possa essere dopo la morte ed è il motivo per il quale questo libro mi aveva tanto incuriosito. Perché, in fondo, la morte è sempre stato un argomento cardine della nostra vita umana: è il focus principale su cui si concentra il business della religione cristiana, è il perno di alcuni pensieri filosofici. Pasqua, resurrezione, reincarnazione, nulla cosmico. La morte è l’elemento chiave delle nostre esistenze e, soprattutto, quel che riguarda il dopo. E, intorno a essa, si sviluppano altri argomenti correlati: tutti i grandi dilemmi morali di cui si discute ancora oggi come l’aborto o l’eutanasia, che è appunto spesso chiamato il tema del «fine vita».
Grazie a questo libro, che purtroppo ho apprezzato poco (e sarà sicuramente per demerito mio), ho pensato alla morte e a quegli istanti che susseguono: c’è stato un tempo in cui ho creduto che un Dio sarebbe venuto “a giudicare i vivi e i morti”, poi ho visto come va il mondo e credo che questo che stiamo vivendo sia già il Purgatorio. Da quando la parte razionale ha preso il sopravvento, non spendo il tempo a pensare a cosa farò o a chi sarò dopo la mia morte, ma ogni tanto mi fermo e penso a quel limbo, a come sarà il passaggio tra l’esserci e il non esserci più. E penso a quando sia in fondo un semplice istante, quell’attimo che attrae la nostra attenzione e che spaventa le nostre anime. Se solo riuscissimo ad interessarci di più agli istanti che abbiamo?
Ma soprattutto: non sono molto fotogenico, non ho molti ricordi di me impressi su pellicola. Se dovesse mai esistere per davvero lo studio fotografico di Hirasaka, non credo di avere uno scatolone pieno di fotografie.
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