top of page

Il mito di Pentesilea, regina delle amazzoni, e la protesta virile

Immagine del redattore: Linda NicolinoLinda Nicolino

Come ricorda Aldo Carotenuto ne L’anima delle donne, le amazzoni erano un mitico popolo di donne guerriere, addestrate alla caccia e alle arti militari. Per consentire loro un miglior uso dell’arco e, probabilmente per mascolinizzarle e renderle più temibili, sin da bambine, veniva loro asportato il seno destro (da qui il nome: a mazós = senza seno). Sempre secondo la leggenda, le amazzoni schiavizzavano gli uomini utilizzandoli solo come anonimi strumenti di procreazione.

La battaglia delle Amazzoni di Anselm Feuerbach (1829–1880) - CC BY-SA 4.0, da Wikimedia Commons

Il mito di Pentesilea, regina delle amazzoni, secondo la tradizione era presente nel perduto poema epico L’Etiopide, attribuito ad Arctimo di Mileto, opera che proseguiva la narrazione dell’Iliade. Suggestivo, seppure fugace, il riferimento di Virgilio nell’Eneide:

«Pentesilea furente guida torme di Amazzoni/ dai piccoli scudi lunati, e arde tra le migliaia/ allacciando l’aurea cintura sotto la nuda mammella;/ vergine guerriera, ardisce scontrarsi con uomini» [1].

Intorno alla figura di Pentesilea fiorirono numerose leggende, da quelle minoritarie che facevano di essa l’assassina di Ettore e del greco Macaone, a quella più nota che l’indicava come omicida involontaria, durante una battuta di caccia, della sorella Ippolita [2]. Apollodoro, nel II secolo a.C., così riassume la versione più nota tra le varie in circolazione:

«Pentesilea, figlia di Otrere e Ares, aveva ucciso senza volerlo Ippolita, ed era venuta a farsi purificare da Priamo. Partecipò alla battaglia e uccise molti Greci, fra cui anche Macaone; ma poi morì per mano di Achille, che s’innamorò di lei ormai morta, e uccise Tersite che lo accusava per questo» [3].

La figura di questa eroina ci consente di tracciare un tipo di psicologia che possiamo definire “amazzonica” [4], e va dal trattamento dell’uomo come mero strumento impersonale di procreazione fino alla più specifica virilizzazione della femminilità da cui consegue una conflittualità permanente nel rapporto di coppia, che designo come sindrome di Pentesilea, in netta opposizione al complesso di Cenerentola che ho già analizzato nei miei contributi precedenti.

Amazzone, sezione di opera, anno 2008 di Antonio Servillo, olio su tela - CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

La mitica e cruenta amputazione del seno in età, presumibilmente, prepuberale, è spiegabile come la conseguenza di un interessante processo di sovradeterminazione. A livello conscio, tale rescissione svolge una triplice funzione: rendere più efficace l’uso dell’arco, non più impedito dall’ingombrante mammella destra; turbare l’avversario con l’esibizione di una mostruosità (l’esistenza di un solo seno); e terrorizzarlo con questa volontaria e violenta dimostrazione di coraggiosa amputazione. A livello inconscio, invece, tale pratica sembra voler simboleggiare una sorta di neutralizzazione dell’invidia del pene. Ossia, se la scoperta della mancanza del pene genera nella bambina un complesso di castrazione, con la conseguente invidia del pene, e quindi – secondo Freud – l’allentamento della relazione della bambina con la madre come oggetto d’amore; l’amputazione del seno filiale agisce, nell’inconscio della madre (attraverso il meccanismo dell’identificazione), come trasformazione di una situazione passiva in attiva e quindi come padroneggiamento differito (peraltro, nell’inconscio non esiste dimensione temporale) di una situazione frustrante. Con le parole di Freud, questo comportamento potrebbe essere ricondotto «a una pulsione di appropriazione che si rende indipendente dal fatto che il ricordo in sé sia piacevole o meno» [5]. Ancor più potente l’effetto sull’inconscio della bambina; infatti, l’asportazione di un seno e l’ostentazione dell’altro sembra neutralizzare il complesso di evirazione. Ossia, il seno sussistente sembra metamorfosare in un fallo più potente: innalzato (la posizione del seno), amplificato (la sua dimensione), esibito (la sua nudità) [6].

 

Dallo studio clinico sulla genesi del masochismo, noto come “Un bambino viene picchiato” (Contributo alla conoscenza dell’origine delle perversioni sessuali), 1919, è dato apprendere che la definizione di complesso di mascolinità della donna appartiene a van Ophuijsen che la introdusse con un saggio – dall’omonimo titolo – apparso sulla rivista internazionale di psicoanalisi [7]. Van Ophuijsen muovendosi, apparentemente, nell’orizzonte teorico dell’ortodossia psicoanalitica argomenta:

«Al complesso di evirazione nella donna si accompagna una sorta di senso di colpa: la perdita, il danno o l’insufficiente sviluppo dell’organo genitale viene considerato come il risultato di una trasgressione spesso una punizione per un’infrazione sessuale. Nei casi dei quali intendo parlare, il senso di colpa è assente – naturalmente non sempre del tutto – ma quel che è sempre fortemente sviluppato è la sensazione di essere stata trattata male e la conseguente reazione di rancore. Propongo d’introdurre la definizione complesso di mascolinità per questo gruppo di casi in cui è predominante la protesta (che cerca di compensare la mancanza)» [8].

Pur nella brevità della citazione non è azzardato osservare che il termine protesta richiama immediatamente la riflessione di un altro psicanalista, Adler, sulla quale lo stesso Freud ripetutamente ritorna. Nell’importante saggio Analisi terminabile e interminabile (1937), interrogandosi sulle reazioni al complesso di castrazione (l’invidia femminile del pene e la protesta virile maschile), Freud definisce la locuzione adleriana «perfettamente calzante» [9], dichiarando l’atteggiamento di “aspirazione alla virilità” come permanentemente egosintonico per l’uomo e solo inizialmente tale per la donna, cioè, durante la fase fallica: «prima che lo sviluppo proceda nel senso della femminilità» [10].

 

Tuttavia, per Alfred Adler, le forme di protesta virile femminile sono la conseguenza dell’insoddisfazione della donna rispetto alla sua posizione sociale:

«Tutti i cosiddetti caratteri ‘femminili’ sono estremamente dipendenti dal rapporto sociale di forze fra uomo e donna, anzi, che da esso vengano prodotti e che, sempre da esso, possono essere forgiati e distrutti. Persino i tratti apparentemente costituzionali, come l’attesa del corteggiatore, la passività, la timidezza, il senso del pudore femminile, l’istinto materno, la monogamia, dipendono più di quanto non si ammetta dai costumi del tempo e vengono guidati dall’obiettivo finale» [11].

Come ben spiega Ellenberger – sulla scorta di Phyllis Bottome – la moglie di Adler, Raissa Epstein, proveniva dall’intelligencija russa ed entrambi, ancor prima di sposarsi, frequentavano riunioni socialiste; pertanto, la concezione che Adler aveva della donna era ben diversa da quella freudiana. Inoltre, questi era vicino alle concezioni di Bebel, che in La donna e il socialismo (1879), fondendo il convincimento di Bachofen di un originario matriarcato con la teoria marxista della lotta di classe, denunciava la schiavizzazione della donna da parte dell’uomo, analoga all’asservimento e allo sfruttamento del proletariato operato dalla borghesia, annunciando che solo il socialismo avrebbe ridato pari diritti a tutti. Per Adler il rovesciamento del matriarcato e la conseguente egemonia patriarcale rappresentano la conseguenza di «una compensazione contro un senso d’inferiorità nei confronti della donna, dovuto al fatto che la potenza sessuale maschile è più limitata di quella femminile» [12].

 

Quindi, la protesta virile, rintracciabile nell’uomo e nella donna, scaturisce dall’ipercompensazione di un sentimento d’inferiorità – di origine non biologica, come invece per Freud – che diventa forza motivante della nevrosi. E consiste nell’accentuazione dei caratteri maschili nell’uomo e nel rifiuto degli atteggiamenti femminili da parte della donna. In tal modo, quest’ultima, assumendo comportamenti maschili tenterà di dominare chiunque le stia accanto. Questi comportamenti di virilità ipertrofica sono la reazione nevrotizzante ai seguenti schemi sociali: basso = femminile e alto = maschile.

 

Risulta evidente, a questo punto, che in termini adleriani se il complesso di Cenerentola si configura come una particolare trasformazione patologica del condiviso e inizialmente salutare sentimento d’inferiorità in complesso d’inferiorità, la sindrome di Pentesilea si configura invece come una catastrofica – e parimenti patologica – ipercompensazione del sentimento d’inferiorità che produce schemi di virilità ipertrofica.

 

Alfred Adler (1870-1937) - Isidoricaaa7, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Bisogna rammentare che quando Adler dava alle stampe la prima compiuta esposizione della sua dottrina – Il temperamento nervoso (1912) – nello stesso anno, in Italia, «il suffragio ‘universale’ garantiva il diritto di voto a tutti gli uomini, analfabeti inclusi, e continuava a negarlo alle donne, anche a quelle istruite» [13]. Discriminazione vergognosa largamente condivisa, basti pensare solo alla pseudoscientifica professione di “razzismo” antifemminile del neurologo Moebius: L’inferiorità mentale della donna (1904) [14]. Tuttavia, il distacco adleriano dall’ortodossia psicoanalitica è stato graduale e incessante, come mostrano gli scritti (1904 – 1913) raccolti in Guarire ed educare [15] e nella prefazione de Il temperamento nervoso, questo distacco viene siglato nei riguardi di Freud.

 

Adler argomenta risolutamente che le nevrosi e le psicosi sono determinate dall’atteggiamento che l’individuo «adotta di fronte alla logica inflessibile della vita sociale» [16]. Nell’Introduzione, pur considerando feconda e preziosa l’opera di Freud, denuncia – senza mezzi termini – tre convincimenti fondamentali di questi che impediscono, a suo dire, l’esatta comprensione della nevrosi. Le posizioni considerate erronee sono così allineate: la libido come causa della nevrosi, l’eziologia sessuale delle nevrosi e, infine, la coazione di desideri infantili prevalentemente incestuosi.

 

Ciò nondimeno, non bisogna dimenticare neppure il primato analitico che Adler riconosce a Freud e le numerose condivisioni teoriche. A tale proposito, anche Adler ravvisava in ogni individuo un ermafroditismo psichico, ovvero la presenza di caratteristiche del sesso opposto: Ermafroditismo e protesta virile. Problema centrale della nevrosi [17].

 

La riprova della parziale condivisione e della rilevanza degli assunti di Adler è attestata anche da Freud quando, in “Un bambino viene picchiato…” (1919), esamina le due teorie – probabilmente le uniche o, quantomeno, quelle che ritiene compiute e più significative – che cercano di spiegare il rapporto tra rimozione e carattere sessuale. Basandosi sulla costituzione bisessuale degli esseri umani – argomenta Freud –, Fliess sostiene che il sesso più sviluppato spinge nell’inconscio la rappresentazione psichica del sesso soccombente. Adler, invece, pur concordando che l’elemento decisivo della rimozione risieda nella lotta tra i due sessi, ritiene che ogni individuo si sforza di non rimanere nell’inferiore linea femminile, e questa protesta virile finisce con lo spiegare sia la formazione del carattere che l’eventuale nevrosi [18].

 

Freud però resta fermo nella sua posizione. Roccia basilare quella dell’invidia del pene e della protesta virile egli insiste sul fatto di poterle rintracciare al fondo di tutte le “stratificazioni psicologiche”. Pertanto, esprimendo implicitamente il suo dissenso dall’impostazione socioculturale di Adler, conclude senza appello che «il rifiuto della femminilità» è «un dato di fatto biologico» [19].

Amazzonomachia (combattimento fra gli ateniesi e le Amazzoni). Rilievo frontale di un sarcofago in marmo del 160-170 dC, usato in passato come bacino per la fontana del Tigri. Entrambe le sculture si trovano oggi nel Cortile Ottagono del Museo Pio-Clementino in Vaticano - Musei Vaticani , Pubblico dominio, via Wikimedia Commons

[1] Virgilio, Eneide, a cura di E. Paratore, Mondadori, Milano, 2007 (orig. 29-19 a.C.), pp. 37-9 (si tratta del libro I, 490-493).

[2] R. Graves, I miti greci, Longanesi, Milano, 1983 (orig. 1954), pp. 627.

[3] Apollodoro, Biblioteca, a cura di M. Cavalli, Milano, 1998 (orig. 60-30 a.C.), p. 212.

[4] Cfr. E. Neumann, La psicologia femminile, Astrolabio, Roma, 1975 (orig. 1953), p. 15; e A. Carotenuto op. cit., pp. 313-4 (Pentesilea è adombrata nel capitolo il “maschio non serve”, dove si parla specificamente di amazzoni).

[5] S. Freud, Opere (1886-1938), voll. 12, più un 13° di Complementi (1885-1938), Boringhieri, Torino, 1966-1993 (orig. 1924-1934), citazione dal vol. IX, p. 202.

[6] Connessione seno-pene che Freud accenna nel Caso clinico del piccolo Hans (1908) – che vedendo mungere una mucca esclama: “Guarda dal fapipí viene il latte” (Ivi, cit., vol. V, p. 482). – e chiarisce del tutto nel successivo Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci (1910): “quando più tardi il bambino fa la conoscenza della mammella della mucca, che per la sua funzione equivale a un capezzolo – ma per la sua forma e la posizione nel basso ventre a un pene – ha raggiunto il primo gradino” dell’identificazione seno-pene (Ivi, vol. VI, pp. 232-3).

[7] Ivi, vol. IX, p. 53.

[8] P. Gorgoni, P. Nuzzi, Di che complesso sei?, Editori Riuniti, Roma, 1997, p. 54.

[9] S. Freud, Opere, cit., vol. XI, p. 533.

[10] Ibidem.

[11] A. Adler, Psicologia dell’omosessualità, Newton Compton, Roma, 1994 (orig. 1917), p. 89.

[12] H.F. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, Boringhieri, Torino, 1972 (orig. 1970).

[13] P. Garavaso, N. Vassallo, Filosofia delle donne, Laterza, Roma-Bari, 2007, p. 103, nota 2.

[14] P. J. Moebius, L’inferiorità mentale della donna, Einaudi, Torino, 1978 (orig. 1900).

[15] A. Adler, Guarire ed educare, Newton Compton, Roma, 2007 (orig. 1914).

[16] Ivi, Il temperamento nervoso, Astrolabio, Roma, 1950 (orig. 1912), p. 9.

[17] Ivi, Psicologia individuale. Prassi e Teoria, Newton Compton, Roma, 2006 (orig. 1920), pp. 37-41.

[18] S. Freud, Opere, cit., vol. IX, p. 62.

[19] Ivi, vol. XI, p. 535.

Unisciti ai canali

  • Instagram
  • Facebook
  • Whatsapp
bottom of page