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Bugie a fin di bene o verità costi quel che costi?

Un amico si nasconde in casa nostra. Un tizio che dichiara di volerlo uccidere si presenta alla porta chiedendo di lui. Cosa fare? Dire la verità, costi quel che costi o mentire spudoratamente? No, non è un sondaggio da Istagramstories. Sebbene sarebbe interessante. Proponetelo e fatemi sapere le risposte. Qui si tratta di una questione squisitamente filosofica.

Nel 1797, sulla «Berlinische Montasscrift», in un articolo dal titolo Su un presunto diritto di mentire per amore degli esseri umani, il tedesco, Immanuel Kant rispose al filosofo francese, Benjamin Costant che, nel suo Le relazioni politiche, accusò la filosofia morale kantiana di non saper concepire il conflitto tra doveri, di vivere in un mondo astratto, insensibile alle tragedie umane e che, dinanzi al dovere di dire sempre la verità, in base a una ragione fredda e insensibile, la benevolenza per gli amici andava sacrificata. Kant confermò. E ciao, ciao, amici!

Immanuel Kant - caricatura - Stéphane Lemarchand Caricaturiste, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Quest’amicizia tradita, da allora, ha creato non pochi imbarazzi tra i kantiani più fedeli e radicali. Sembra chiaro che l’assassino non abbia alcun diritto ad accedere a informazioni del genere e non si può che simpatizzare con chi mente per salvare l’amico.


Ma Kant non accetta neppure la controproposta di Constant che non nega la validità del principio di verità, però quando questa reca danno a terzi, rendendo insostenibile la convivenza sociale, egli sostiene che è preferibile un principio intermedio restrittivo, un’eccezione: nessuno ha cioè diritto a una verità che danneggia.


Christine Korsgaard, pur di difendere Kant, prova a smantellare l’esempio. Osserva che nessun assassino seriamente intenzionato si presenterebbe alla nostra porta dichiarandosi tale. Ma questo non è vero! Secondo Maria Chiara Pievatolo, ci sono situazioni in cui l’intenzione di uccidere nasce da linee di condotta politicamente deliberate. Pensate alla famiglia di Anna Frank, ai perseguitati politici e religiosi, alle donne in Iran o in Afganistan, ai Paesi in cui vige ancora la pena di morte per omosessuali e transgender. Oppure pensate ad ambienti malavitosi in cui molte persone sono costrette a nascondersi per evitare ritorsioni: chi denuncia, i collaboratori di giustizia che entrano in programmi di protezione. Casi che non vanno a favore di Kant e rendono necessario mentire anche in nome della legalità.


Inoltre, questi casi, secondo un’altra interpretazione che mutuo da Ermanno Bencivenga, mostrano situazioni in cui il diritto viene calpestato in nome della forza, della violenza, della tirannide, causando un mondo in cui predomina l’irrazionale, una società sul serio insostenibile. Al che, seppure la ragione comandi di non mentire, farlo è l’unica scelta sensata. Mento costretto dalle circostanze. Tuttavia, poiché vado contro ai dettami della ragion pratica, non devo compiacermi di questa mia scelta (non)libera.


Anche Kant offre una risposta simile, circa la (non) legittimità di una rivolta popolare contro il tiranno. La ragione non approverebbe. Però, se il sovrano fonda il suo potere non sul diritto bensì sulla forza, non può questi non aspettarsi una reazione altrettanto irrazionale e violenta da parte dei sudditi. Kant poteva avvalersi di questa posizione per sottrarsi dall’accusa di Constant. Invece no. L’ipotesi viene scartata per una posizione più difficile. Perché?


Perché Costant non tiene conto di un aspetto fondamentale: che fine fa l’identità morale di chi mente perché non può fare altrimenti? L’uomo dell’esempio vive un conflitto drammatico, perché ama l’amico, ma crede nella verità. Ha maturato la consapevolezza che mentire è una cosa seria, un danno all’umanità e, per coerenza, all’umanità stessa dell’assassino. Se così non fosse, non si comprenderebbe la tragedia che sta vivendo per la non risolvibilità del conflitto. Chi è costretto ad andare contro ciò in cui crede è un agente sconfitto nella sua integrità e autonomia.


Proviamo a capovolgere la prospettiva chiedendoci: siamo sicuri di non essere responsabili di una società in cui si è giunti a una situazione in cui qualcuno è legittimato a bussare alle nostre porte dichiarando di voler uccidere i nostri amici? In cui le SS possono impunemente arrestare una famiglia e condurla ai campi di stermino? Tacendo, o mentendo quando era nostro dovere denunciare, trovando escamotage per evitare la verità, non ne siamo stati complici? Sul serio, allora, non possiamo fare altrimenti?


Contestualizziamo la discussione dei filosofi. È la fine degli anni Novanta del XVIII secolo, c’è stata una rivoluzione, la legittimità del potere è in crisi, il mondo è scosso dal terrore, da violenze reazionarie e tentazioni autoritarie di nuovo conio.

Per salvaguardare la propria autorevolezza il filosofo deve garantirsi l’indipendenza ricusando ogni forma di particolarismo. Kant non avrebbe mai potuto dire: è giusto mentire per un interesse particolare senza riconoscere coerentemente lo stesso potere ad altri, senza esporsi a mistificazioni politiche. Lo scaltro politico potrebbe osservare: dato che si danno eccezioni, mi è permesso mentire se voglio conseguire ciò che per me sia il bene più grande. Mentire, nascondere qualche verità scomoda, non stuzzicare l'opinione pubblica. Va' a capire poi qual sia questo bene più grande, la sua visione di bene più grande. In ogni caso, per Kant, la politica non può rinunciare alla trasparenza se vuole restare nei limiti della giustizia. Quando agiamo, dice il filosofo, siamo consapevoli che la nostra azione è capace di creare un pezzo di mondo indipendente da noi. Riflettendo sulla sua legittimità morale, ciò che ci chiede la ragione è: come vorremmo fosse questo pezzo di mondo? Se ammettessimo la liceità della menzogna per salvare un amico, dobbiamo immaginarlo come abitato da una comunità in cui ciascuno ha diritto di mentire per un interesse personale, in cui chi governa può fare lo stesso per le proprie ideologie, per rabbonire e asservire il popolo. Chi assume una prospettiva universale, invece, estende la responsabilità oltre i confini del proprio giardino. Favorisce la costruzione di una società che fonda le radici in un’economia della trasparenza e sa che per salvare la vita di un amico è necessario rompere un sistema in cui mentire è la norma.


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