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Il concetto di «amore platonico»

Quanti di noi, nella loro breve o lunga vita, hanno avuto quell’amore viscerale, non passionale, mai corrisposto; quella fiamma sempre accesa di una candela che mai era solita consumarsi perché mai utilizzata per il suo scopo. Il concetto di «amore platonico» nasce, nei nostri giorni, assumendo questo significato.

L’École de Platon (1898), opera di Jean Delville, da Wikimedia Commons

Ma da dove trae origine questo amore privo di sessualità e romanticismo? L’amore, per Platone, non è vincolato al concetto di relazione, bensì è uno “strumento” che ti permette di muovere la conoscenza verso uno spirito assoluto, in quel cammino che parte dalle apparenze (dunque, dalla realtà sensibile) fino a giungere alla perfezione del mondo delle idee. Per questo, Platone divide in due livelli l’amore: il primo è quello legato ai corpi, all’attrazione “materiale”, “sensibile”. Il livello successivo è l’amore che abbandona qualsiasi tipo di attrazione corporale per aggiungere un amore superiore: per lo stato e per le istituzioni, ad esempio, oppure per le scienze, ecc.

 

Nel Simposio, Socrate parla dell’Eros, ovvero dell’amore sessuale, ispirandosi a Diotima, parlando così del dio greco figlio di Poros e Penia. L’unione tra i due, in un momento di ubriachezza di Poros, fa nascere Eros: l’amore che in Platone ha una forma ambivalente che nasce dall’amore per le forme (la conservazione delle specie) fino all’amore per la conoscenza assoluta (la Filosofia).

 

Sempre in quest’opera Socrate rifiuta l’amore di Alcibiade perché scambia la parvenza del bello (ovvero, la sua bellezza fisica) con la verità del bello (ovvero, la filosofia di Socrate).

Socrate strappa Alcibiade dall'abbraccio del piacere sensuale, opera di Jean-Baptiste Regnault, via Wikimedia Commons

A partire da questo concetto e da questa moderna accezione che siamo soliti dare all’amore platonico un valore che, tutto sommato, riconosciamo quasi universalmente nelle nostre vite, una di quelle esperienze scritte nelle canzoni che cantiamo a squarciagola nei concerti e che rispecchia un sentimento quotidiano. Anch’io ho vissuto un amore simile, un amore che può essere descritto così:

 

Io sono il ragazzo ideale,

forse perché contemplo le idee

sono il metro di paragone,

l’unità di misura

di ciò che le altre persone vorrebbero per sé.

«Vorrei un ragazzo come te» -

chissà cosa vorrà mai dire,

chissà che senso si cela in questa frase.

Se desideri un ragazzo come me,

hai la possibilità di averne uno

esattamente come me:

Me.

Eppure, ti accontenti dei «resti»,

degli avanzi che restano lì su un tavolo,

perché, in fondo, contempli le idee come me,

l’idea dell’amore che

solo un «ragazzo come me» potrebbe regalarti.

Mi idealizzi e mi contempli,

mi elevi a «metro di misura» dell’Idea dell’Amore

e ti fai bastare ciò che ne rimane

di quell’Idea «come me»:

mi astrai in un mondo concreto

in cui esistiamo entrambi.

Crei un meccanismo complesso

in cui mi rendi inarrivabile armonia

e ti rendi irraggiungibile imperfezione.

È per questo che io e te siamo

e saremo per sempre un amore platonico.

Sleeping Cupid, di Battistello Caracciolo, da Wikimedia Commons

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