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Immagine del redattoreSara Grillo

Hannah Arendt: lo sgretolamento del senso originario della politica

«Ritrarre Hannah Arendt è forse possibile solo a partire dal suo ritrarsi: nel duplice e contrastante senso del termine, [Lei] ha infatti largamente contribuito a un suo ritratto pubblico, con atti e idee deliberatamente rivolti agli altri, ma nello stesso tempo si è ritratta, ha tenuto in serbo se stessa. Hannah Arendt fu “donna di pensiero” e “donna di azione”, impegnata in vari periodi della sua vita in attività politiche, culturali, universitarie e filosofiche. Questo significava per lei esserci, “essere tutta lì presente”, ossia partecipare alla realtà del mondo comune, assumersi il “rischio della vita pubblica”. In tutte queste occasioni fu però anche riluttante, “caparbiamente recalcitrante”, ostinata come può esserlo solo una che vuole astenersi, sia che debba scrivere libri con le note e tutto il resto, sia che debba gettarsi capofitto nelle polemiche sul sionismo e sui crimini nazisti.»[1]


Una citazione che ritrae perfettamente l’autrice dalle doti straordinarie, particolarmente energica e determinata. Di fronte alla drammaticità degli eventi storici, della fine della seconda guerra mondiale, emerge la sua produzione, che non si limita all’ambito filosofico-antropologico, ma spazia soprattutto sul versante storico ed etico-politico.

Hannah Arendt (1924) - See page for author, Public domain, via Wikimedia Commons

La filosofia di Arendt – che Lei definisce come un’azione politica – è, infatti, prettamente pratica. Dal suo pensiero possiamo ricavare risposte riguardo al mondo politico attuale. Tali risposte sono per lo più contestazioni proprio relative al modo di fare politica oggi. Il senso di questo termine si è sbiadito nel tempo, così anche il suo utilizzo in senso pratico. Vediamo come, ripercorrendo brevemente il pensiero di Hannah Arendt. Del resto la filosofia serve proprio a questo.


Il pensiero politico di Arendt nasce nell’esperienza dei totalitarismi, dei campi di concentramento, in quell’inferno che continuava a sconvolgerla in ogni aspetto della sua vita. Questo contesto storico la porta ad ancorarsi saldamente alla riflessione filosofica, alla situazione storica e politica della Grecia antica e della Polis, come esempio da seguire. La Polis greca, infatti, assegnava all’azione pubblica dell’uomo una posizione di primaria importanza. La Polis rappresentava la forma più alta di convivenza tra uomini liberi. Infatti la libertà coincideva proprio nella Polis, in quella forma di istituzione politica dove l’uomo era libero di vivere pienamente in mezzo agli uomini. Arendt identifica la libertà con la capacità di agire, ovvero quell’azione che determina l’inizio di qualcosa di nuovo. Il tema della libertà in Arendt va di pari passo con quello dell’azione politica. In quest’ultima rientra l’azione discorsiva. Il discorso che si immette e prende forma all’interno di un contesto pubblico è impregnato della libertà di potersi esprimere, proprio come nel contesto istituzionale della Polis, dove gli uomini entrano in contatto tra di loro scambiando le loro opinioni.

Pericles' Funeral Oration - Philipp Foltz , Public domain, via Wikimedia Commons

La Polis greca, infatti, era il luogo dove gli uomini avevano la possibilità di apparire e di poter agire. Era un enorme teatro nel quale ogni individuo si calava in un determinato ruolo tramite la parola e l’azione. Ed è su questo tema che Arendt si concentra, parlando di “spazio pubblico” e della “pluralità” che lo costituisce. Ci ricorda la famosa “agorà” (piazza) greca, dove tutti i cittadini si riunivano formando un’assemblea durante la quale di discuteva di politica, ovvero si affrontavano i vari problemi della Polis. In Grecia vigeva la democrazia diretta, quella democrazia oggi non esiste più. Come sappiamo l’azione politica dei cittadini oggi è limitata a un “semplice e muto voto”. A quest’ultimo si dà la stessa importanza attribuita dai greci alla partecipazione attiva alle assemblee politiche.

Lo scopo della Arendt è soprattutto di ridefinire e restituire il senso originario al concetto di “politica”

Ma concentriamoci ora sull’analisi fatta da Arendt sulla società del suo tempo che si stava trasformando, in un’età, possiamo dire, della secolarizzazione. Arendt vide la società come un ibrido tra pubblico e privato, dove il privato riveste il ruolo del pubblico, tanto da annullare completamente quella linea di demarcazione che fungeva da confine tra le due sfere. «Se la società è il luogo del lavoro e del consumo, l’attività politica diventa esclusivamente la modalità con cui amministrare e gestire i problemi da essi derivati»[2] Arendt mette in luce la natura burocratica della società che si stava affermando, una società burocratica che occupava il posto della politica. Se consideriamo che la politica nasce proprio nella sfera pubblica, dove la pluralità degli individui sono liberi di agire di concerto; che il senso della politica è di conseguenza la libertà; l’unico problema da risolvere, secondo la Arendt, è il seguente: liberare la politica stessa dalle catene delle altre discipline. La politica risulterebbe, infatti, subordinata a molte discipline, come: la religione, l’economia, l’etica e l’amministrazione. Su questo Arendt è stata scrupolosamente vigile, con lo scopo di analizzare se e come fosse possibile rendere, in qualche modo, la politica una disciplina autonoma. Lo scopo della Arendt è soprattutto di ridefinire e restituire il senso originario al concetto di “politica”. Il vero senso, e soprattutto il suo spazio, si era sgretolato agli occhi di Hannah.

Dalle sue analisi a oggi la situazione non è molto cambiata. La società burocratica si presenta un potere capace di gestire sia l’ambito pubblico sia quello privato. Si afferma così, in modo molto accentuato, quell’omogeneità tra pubblico e privato che Hannah Arendt ha sempre contestato. L’antico concetto di politica è del tutto scomparso. Il significato non è più lo stesso, così come sono cambiate la società e le leggi che la governano. «Più la modernità procede, più ci si allontana dalla politica autentica, e sempre minori diventano le possibilità di un agire politico libero e plurale».[3]

[1] L. Boella, Hannah Arendt. Agire politicamente, pensare politicamente, Milano, Feltrinelli Editore, 2005, p. 22.

[2] S. Forti, Hannah Arendt tra filosofia e politica, Bruno Mondadori, Milano, 2006, p. 291.

[3] Ivi, p. 299.

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