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Gli «Uomini persi» in tempo di guerra: una canzone ancora attuale

Il 1985 dista da noi, ormai, quarant’anni. Com’è cambiato il mondo e quante esperienze ha vissuto anche il nostro Paese: dallo scandalo di Tangentopoli alle stragi di Falcone e Borsellino; dal crollo del Muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica, fino all’attentato dell’11 settembre 2001, impresso ancora nella memoria di tutte e tutti. Gli equilibri politici ed economici mondiali hanno subito un mutamento sostanziale, nonostante lo stesso strumento utilizzato (e mai cambiato) che condiziona la storia dell’uomo recente: la Guerra.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa ci regalò, attraverso il personaggio de Il Gattopardo, Tancredi Falconeri, un grande insegnamento: Tancredi, infatti, rivolgendosi allo zio Principe di Salina, disse: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». E, in effetti, per quanti cambiamenti abbiamo vissuto, la Guerra è sempre rimasta la stessa. Può aver cambiato forma o luogo fisico, ma non lo è stato nella sostanza.

 

Nel 1985 Claudio Baglioni nel suo album La vita è adesso ha voluto scrivere e cantare gli orrori della guerra, discostandosi per un attimo – giusto quei cinque minuti di canzone – dal suo essere il “cantautore malinconico dell’amore”. Perché in guerra non esiste amore.

 

Claudio Baglioni - Clab88, via Wikimedia Commons

Baglioni racconta, con non poca velata tristezza, le sue riflessioni da un punto di vista diverso: non sono le cause o le conseguenze, gli effetti o le scelte a determinare una guerra, ma le persone. Consapevolmente o inconsapevolmente, l’elemento comune tra le due fazioni che si contendono il conflitto bellico è il loro “essere umani”: i terroristi, «disperati che seminano bombe tra poveri corpi»; i potenti di turno che decidono le sorti del proprio Paese e degli esseri umani a lui prossimi; oppure i trafficanti di armi «che dentro la ventiquattrore portano la guerra».

 

Questi esseri umani, Baglioni spiega e guarda con tristezza come anche loro nella vita, siano stati innocenti, siano stati bambini, poi cresciuti e divenuti «Uomini persi».

 

Le immagini nitide raccontate dal cantautore riecheggiano da quasi quarant’anni nelle orecchie e nel cuore di chi le ascolta:

 

«Anche quei pazzi che hanno sparato alle persone,

bucandole come biglietti da annullare,

hanno pensato che i morti li coprissero

perché non prendessero freddo e il sonno fosse lieve».

L’essere umano che nella guerra prova a percorrere la via dell’umanità e, non trovandone traccia, si perde. Come nel giro di vite annegate nel mare di quel traffico di anime nel Mediterraneo, che ormai non fanno più notizia per l’indifferenza (e l’abitudine) del cuore; di chi ormai perso, prova a cercare fortuna tra le onde del mare:

 

«Anche questi cristi,

caduti giù senza nome senza croci

son stati marinai dietro gli occhiali storti e tristi

sulle barchette coi gusci delle noci

e dove sono i giorni di domani».

 

È la responsabilità che la società ha nei confronti dell’animo umano, che Rousseau spiega bene ne L’Emilio: ogni uomo perso raccontato da Baglioni ha perso la sua innocenza di bambino ed è stato corrotto dagli equilibri della società stessa, da quegli equilibri ipocriti che per reggersi e sopravvivere, hanno bisogno di violenze, di soprusi e di sopraffazione. Quegli equilibri che hanno fatto perdere l’innocenza a quei bambini che «hanno scambiato figurine e segreti con uno più grande, ma prima doveva giurare».

Negli anni recenti sono esistiti «Uomini persi» che non hanno voluto far smarrire i propri figli, «dov’è un papà che caccia via la notte di tutti gli uomini persi dal mondo»: sono i padri della Siria, della Palestina, dell’Ucraina e di tutte quelle parti della Terra, anche in quei meandri oscuri in cui il giornalismo non arriva, perché è una parte disinteressata del mondo.

 

Baglioni ha voluto cantare l’esistenza di tutte quelle vite terminate o sconfitte a causa di una guerra.

 

Chi è che vorrebbe davvero una guerra? Solo chi ne trae guadagno, quegli uomini che, in fondo, non sanno di essere Uomini persi dal mondo, uomini persi nel mondo.


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