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Dai pro-vita nei consultori al G7: le azioni antiabortiste del governo di destra

Terminate le elezioni europee e assistito alla vittoria di Meloni (se di vittoria si può parlare, dato che purtroppo la stragrande maggioranza degli italiani che non ha votato), ci siamo ritrovati a dover mal digerire ulteriori prese in giro, oltre quelle che in questi mesi ci sono state somministrate tra sorrisi e discorsi accorati. Il nostro presidente del consiglio, Giorgia Meloni, infatti, ha avuto da sempre la tendenza a dire mezze verità per ottenere il consenso popolare, è stato così quando ha parlato dei finanziamenti al settore sanitario o alla diminuzione dei prezzi al consumo rispetto all'inflazione, ed è così anche sui valori che guidano Fratelli d'Italia, come è risultato chiaro dal clima che si è respirato durante il G7 e la sparizione di alcuni punti fondamentali, come quello sull'aborto o la protezione verso  l'identità di genere.

Se la questione dell’identità di genere è stata già trattata sulla nostra rivista, resta da chiarire adesso quale sia l’ideologia della destra meloniana circa l’aborto. Per farlo basta guardare gli eventi e gli atti dell’attuale esecutivo che hanno immediatamente preceduto il G7.


Il 22 maggio scorso è stato firmato il “Manifesto Valoriale” di “Pro Vita e Famiglia” che concretizza i piani del governo nel rendere maggiormente complicato l’esercizio di un diritto già scarsamente elargito nel nostro Paese a causa della presenza degli obiettori di coscienza. Ufficialmente lo scopo sarebbe quello di garantire alle possibili future mamme una condizione di consapevolezza e sostegno, prima di intraprendere l’Ivg. Ma non tutti sanno che i, per legge, consultori già forniscono servizi di questo genere; alle donne che esprimono il desiderio di abortire, prima di accogliere la loro richiesta, vengono mostrate tutte le alternative possibili e vengono loro concessi sette giorni per decidere il da farsi. Tenuto conto di tutto questo, quali possono essere le vere ragioni che hanno spinto i nostri rappresentanti politici a inserire le organizzazioni Pro-Life nei consultori? Basta ascoltare le affermazioni che sono state elargite, da molti esponenti politici, come spiegazioni quasi non necessarie, a sostegno di questa iniziativa. Una tra le prime dichiarazioni è quella che la vita inizi dal concepimento e che quindi sia nostro dovere difenderla e tutelarla. Questo potrebbe anche essere percepito come un segno di moralità estremizzata o di semplice ignoranza legale, se non venisse accompagnata dalla frase “l’aborto non è un diritto”, espressa dalla ministra della natalità, Eugenia Roccella.

Forse c’è bisogno di dare qualche delucidazione per far comprendere la gravità di queste convinzioni. E inizio proprio da quella storica che spiega quando e perché venne approvata la legge 194.

 

Non è un caso che il giorno scelto per sottoscrivere il manifesto valoriale sia stato il 22 maggio. Infatti, nella stessa data del 1978 veniva approvata la legge sull’interruzione di gravidanza in risposta alle disperate condizioni delle donne che, per anni, erano state costrette a sottoporsi a metodi a dir poco violenti ed estremamente pericolosi, al fine di interrompere gravidanze indesiderate o rischiose per la loro condizione salutare, metodi che spesso causavano la morte per infezione. Infatti, a seguito dell’aumento spropositato dei decessi, un giornale pubblicò un articolo al riguardo, andando contro le regole del buon costume e spronando il popolo a far sentire la propria voce: fu così che riuscimmo a ottenere l’abrogazione delle norme di diritto penale che prevedevano la reclusione per le donne che si sottoponevano a procedure abortive, e ci fu riconosciuto questo fondamentale diritto. A oggi, dopo esattamente quarantasei anni, questo diritto così faticosamente ottenuto, è stato rimesso in discussione e si sono adottati metodi manipolatori e pressanti per spingere all’aumento demografico tanto agognato in Italia, senza mostrare alcuna preoccupazione per le ripercussioni violente e laceranti, sia a livello sociale che psicologico, sulla popolazione femminile.

Parliamo ora del concetto di vita: da un punto di vista puramente cellulare potrebbe anche considerarsi corretto dire che c’è vita al momento del concepimento, ma si tratta di una cellula, non di un bambino. L’embrione muta fino alla formazione completa del sistema nervoso e degli organi interni, quindi funzionanti, che avviene al terzo mese di gestazione. Prima dei tre mesi abbiamo un processo cellulare che ha potenzialità di creare un essere umano, ma di certo non è un risultato immediato. Da un punto di vista puramente legale, oltretutto, è persona colei a cui possono essere attribuiti diritti e doveri. Volendoci invece soffermare sulla dichiarazione che l’aborto non sarebbe un diritto delle donne, basta considerare il fatto che il termine diritto si riferisce all’insieme di norme che, nel caso in specie, sono volte a tutelare l’individuo. Quindi è addirittura superfluo dare ulteriori spiegazioni al di là della definizione stessa del termine. Eppure l’attuale governo sembra sembra molto più interessato a fare propaganda sostenendo quelli che vengono definiti “valori morali tradizionali”. Ma mi chiedo cosa ci sia di moralmente giusto e rilevante nel non prendersi cura della salute delle donne e a persuaderle a non intraprendere l’Ivg costringendole addirittura a sentire il battito del feto e pertanto insinuando il senso di colpa.

Quest’ulteriore iniziativa arriva direttamente dalle organizzazioni Pro-Life con il progetto “un cuore che batte” e sono già molte le donne sottoposte a questa violenza psicologica. Forse risulterà utile, a chi per ragioni morali si oppone all’aborto, rendere noto che quel battito in realtà non è sintomo di un sistema cardiovascolare sviluppato, ma è il frutto dell’attività elettrica delle cellule; verrebbe quindi da dire: oltre il danno anche la beffa.

 

In questo periodo storico sembra quasi che si sia dimenticato cosa significhi davvero avere una morale e si sia disposti a trattare le vite umane con sufficienza pur di giustificare fini personali che spesso si nascondono dietro parole manipolatorie e vuote. Stiamo riducendo la donna a essere un’incubatrice ponendola sotto ingiusto e severo giudizio, arrivando a etichettarla come un’omicida. Risuona tra le parole dei politici lo slogan “Dio, patria e famiglia”, in nome dei quali si preferisce barattare la libertà di scelta delle donne, riducendola a mero oggetto e identificandola esclusivamente nel ruolo di madre. L’aborto è un diritto, le decisioni delle donne vanno rispettate, la loro identità e persona tutelata, ma chi ci rappresenta ormai ignora questa realtà con semplicità allarmante.

 

Tenuto conto di questa realtà italiana, c’è davvero da chiedersi come sia possibile che si sia arrivato a eliminare un punto tanto fondamentale ora che si deve discutere delle sorti dell’Europa intera?


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