I dirigenti dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, nel consiglio dell’UCEI del 17 dicembre scorso, hanno discusso di come affrontare il Giorno della Memoria, producendo un documento di 6 pagine, intitolato 27 gennaio Giorno della Memoria: come affrontarlo dopo il 7 ottobre. Il vademecum comprende 12 punti in cui si danno indicazioni su come comportarsi durante le celebrazioni, come affrontare domande sulla questione palestinese e la guerra in corso tra Israele e Hamas, e su come porsi rispetto a partiti, sindacati e associazioni contrari al conflitto a Gaza, al mondo cristiano e cattolico, alle associazioni Lgbtq. Mentre alla stampa ne è stata diffusa solo una versione ridotta, Fanpage ha potuto visionarlo in maniera integrale e analizzarlo nell’articolo di Valerio Renzi.
Il documento raccomanda di non parlare di "nuova Shoah" o "seconda Shoah" rispetto al 7 ottobre. Lo sterminio messo in atto dal Terzo Reich e dai regimi alleati non ha confronti nella storia passata e recente. Come infatti anche Edith Bruck, deportata a 13 anni, passata da Auschwitz e da Dachau, in un’intervista rilasciata su la Repubblica, l’11 ottobre 2023, a ridosso quindi dei fatti accaduti in Israele, ha osservato:
«Auschwitz è stato un unicum, lo diceva Primo Levi, e lo dico anche io. Quello che succede in Ucraina, quello che sta succedendo in Israele, sono orrori sempre peggiori, ma diversi. Orrori che sconvolgono, ma non sono paragonabili allo sterminio di un popolo, deciso a tavolino, scientificamente.»
Inoltre, l’UCEI chiarisce che è necessario
«mettere in evidenza che il ragionamento sistematico sulla Shoah è avvenuto dopo decenni di studio e analisi storiografica, mentre quanto avvenuto il 7 ottobre non è concluso e siamo ancora nel pieno del dramma. Non abbiamo ancora un termine appropriato per descrivere l’orrore di quanto avvenuto (pogrom, praot, massacri?).»
Al punto tre, intitolato «Attualizzazione» spiega quindi che:
«la Memoria della Shoah e quanto si va a condividere (fatti, narrazioni, testimonianze etc.) non è un concetto astratto o esercizio teorico limitato alla conoscenza del passato, o per esprimere vicinanza al popolo ebraico (con commozione e tristezza), ma è necessario anche attualizzare i fenomeni del passato e saperli riconoscere nel presente.»
Per cui, nel punto quattro, porta l’attenzione al discorso sull’antisemitismo: sottolinea che si presenta con diverse forme, tutte espressioni del fenomeno di odio contro il popolo ebraico e, tra queste, vi include «la condanna generica e la demonizzazione di Israele e di tutte le sue istituzioni» e «il ribaltamento e l’attribuzione a Israele di appellativi connessi alla Shoah: sterminio/nazisti/genocidio/occupazione/lager etc.».
Insomma, se da un lato il documento mette in chiaro l’importanza di separare la questione palestinese dalla Memoria della Shoah, per evitare paragoni impropri o la perversione e la strumentalizzazione dei simboli della persecuzione ebraica come le stelle gialle o le divise a righe dei campi di concentramento; dall’altro, come osserva Valerio Renzi di Fanpage, l’attualizzazione sembra sostanziarsi in una richiesta di sostegno «senza se e senza ma» alle ragioni del governo d'Israele, accusando di antisemitismo ogni forma di dissenso rispetto alle sue politiche. Per l’UCEI infatti: «Antisionismo/Antisraelianismo e appelli al boicottaggio, isolamento sono forme di antisemitismo. Non ultimo l’incriminazione richiesta dal Sud Africa contro Israele per accusa di genocidio al tribunale internazionale.»
È comprensibile la preoccupazione dei dirigenti per i membri della comunità ebraica di cui sono responsabili, se fossi stato al loro posto, avrei fornito anch’io indicazioni su come comportarsi in occasione del Giorno della memoria, mettendo in guardia dal ritorno di antisemitismi di nuovo conio, in un contesto come quello attuale in cui vengono messe in atto vere e proprie minacce alle vite umane. Per Edith Bruck: «Auschwitz non passa mai», per questo bisogna averne memoria: «Niente è inutile. Il racconto serve.» E aggiunge: «in tutta Europa sta tornando una nebbia fitta, di razzismo, odio, discriminazione. E ora, Israele. Gli ebrei hanno sofferto già troppo, e sono pochi. Israele ha diritto di esistere.»
Inoltre, pur non essendo ebreo e, in un certo senso, limitato nel comprendere fino in fondo cosa si provi a essere discriminati in questo tali, facendo però parte io stesso di una minoranza discriminata per orientamento sessuale, ritengo giusto che ad avvalersi del diritto di definire ciò che è antisemitismo sia chi lo subisce in prima persona e in diretta. Lo stesso vale per l’omofobia (transfobia, lesbofobia etc.), lo stesso deve valere per ogni minoranza discriminata per genere, per etnia, e religione. Ma, mi domando: perché si dovrebbe usare uno “standard diverso” per il popolo palestinese?
Il documento dell’UCEI affronta il fenomeno della doppiezza nel punto cinque, dove indica l’atteggiamento da seguire nei confronti di esponenti politici, sindacati, associazioni «che – precisa Valerio Renzi – afferiscono in modo largo al mondo della sinistra.» Si legge nel documento:
«Da parte di molti interlocutori politici, religiosi, istituzionali, sindacati si ricevono espressioni di vicinanza, dolore, o diverse forme di riverenza e ammirazione per i sopravvissuti della Shoah così come condanna del nazifascismo, del saluto romano, dell’indifferenza e altri atti nefasti commessi durante la Shoah. Questi stessi soggetti, con riguardo alle scelte di Israele di difesa, adottano una valutazione e uno standard totalmente diverso e opposto, aderendo a manifestazioni di ogni genere. (…) La richiesta di cessate il fuoco immediato, il pacifismo, l’equidistanza e le pretese di moralità rivolte unicamente a Israele e non ad altri Paesi belligeranti sono parimenti l’esempio di doppio standard.»
Sul serio, mi chiedo, chi critica le politiche di un governo di Israele, uno tra i tanti che ha avuto, può essere accusato di doppiezza o peggio diventa immediatamente antisemita? Ha ragione Valerio Renzi quando commenta che in questo punto il documento sembri affermare che non si può ricordare la Shoah senza farsi carico di una difesa acritica d’Israele?
Al punto sette l’UCEI ribadisce la necessità di focalizzare il 27 gennaio come Giorno della Memoria così come rubricato nella legge, quindi non affievolirlo, né ridurlo a «giorno di tutte le sofferenze e nel peggiore dei casi “scippato” da chi lo vorrà dedicare SOLO ai palestinesi, SOSTITUENDO gli ebrei con i palestinesi»; al punto nove, parlando del controllo della situazione, cioè di come rispondere e gestire eventuali discussioni con al centro la guerra a Gaza, con domande «sui palestinesi e l’uccisione di oltre 20.000 persone», chiarisce che «senza agitazione dovremmo riuscire a rappresentare l’assolutezza dell’impegno morale di Israele», il quale cercherebbe di limitare le vittime civili la cui responsabilità è principalmente di Hamas.
È sbagliato fare “abusi di memoria”, come scrive Valerio Renzi che si richiama all’omonimo libro di Valentina Pisanty; ma concordo altresì su quanto aggiunge: «La legge non contempla la necessità di difendere qualsiasi politica dei governi dello Stato di Israele per ricordare le vittime della Shoah, e costruire una cultura che ripudi razzismo e antisemitismo.»
Celebrare il Giorno della Memoria, riflettere su quanto è accaduto, commemorare le vittime della Shoah, pone sicuramente al centro la questione ebraica. Una centralità che nessuno deve osare sottrarre, o “scippare”. Favorire un dibattito è necessario affinché eventi orribili del genere non si verifichino più, fornendoci gli strumenti per stanarli ed eliminarli. Anche questo significa innanzitutto scongiurare atteggiamenti di antisemitismo.
Ma – come lascia intendere, tra l’altro, lo stesso documento al punto otto in cui si parla di «unità di missione» –, in egual misura, riflettere sulla Shoah, è importante affinché non ci siano anche altre vittime: «oppositori politici, omosessuali, portatori di handicap, sinti e rom», allo stesso modo deportati nei campi di concentramento. Il che significa che queste celebrazioni, fare cioè memoria di un tale evento osceno, comprenderne le cause storiche politiche culturali, i processi che hanno determinato l’emergenza di questa barbarie, non può non servire a evitare che si verifichino per chiunque, per qualunque essere umano, per l’essere umano palestinese compreso.
Senza negare le gravi responsabilità delle politiche di Hamas, senza neppure fare puerili e fuorvianti equiparazioni tra il popolo ebraico e le scellerate politiche di Netanyahu – identificazione che, da quanto si evince dal documento, sembra non essere prerogativa solo di chi le accusa –, difendere a spada tratta queste ultime, in maniera acritica, e scoraggiare il dissenso, in ogni sua forma, è tutto ciò che va contro al senso del Giorno della Memoria, a meno che non l’abbia, da sempre, malinteso. Tra le cause che hanno portato alla Shoah, c’è proprio la negazione del dissenso, delle libertà sostanziali, dei diritti, delle uguaglianze, delle esistenze umane, oltre al rifiuto della pace tra i popoli.
Ora, se sulla questione della sinistra e dell’antisemitismo mi ripropongo di ritornarci nel mio prossimo contributo, qui vorrei concludere riportando l’osservazione di Valerio Renzi, ma sotto forma di domanda: perché, in merito alla doppiezza degli standard, non è stata espressa una sola parola «su chi, come molti esponenti di governo e del centrodestra, è colpito da una singolare afasia e che, condannando le Leggi Razziali e manifestando struggimento e empatia per le vittime della Shoah, non riesce però a dichiararsi antifascista (magari conservando una collezioni di busti di Mussolini in casa)»?
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