2 giugno 1946: gli italiani e, per la prima volta, le italiane sono chiamati a scegliere il futuro assetto costituzionale del paese emerso dalla Resistenza, dopo la cesura del Fascismo, e a eleggere i loro rappresentanti che stenderanno la nuova legge fondamentale dello stato. Vince la Repubblica, mentre al voto per l’Assemblea costituente i cittadini premiano la Democrazia Cristiana (207 seggi), il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (115) e il Partito Comunista Italiano (104), tutti concordi nel dotare l’Italia di una carta che impedisca il ripetersi degli orrori che hanno ridotto la penisola a un cumulo di macerie.
I costituenti sanno che il fascismo attacca alla radice i principi fondamentali della libertà e che tra l’uno e l’altra non può esserci nessuna composizione, nemmeno momentanea. Dunque è ragionevole sostenere che la formalizzazione in costituzione di un “alter” da individuare ed escludere funge da stella polare. La nostra Costituzione ci dice che il fascismo è stato il nemico sconfitto contro il quale la democrazia italiana è sorta e si è imposta. Essa stessa è la stella polare che ci permette di intendere le forme nuove che il fascismo può assumere. È l’impianto della Repubblica democratica nel suo complesso a essere una dichiarazione di antif4scismo. Per questo riposa su due principi che sono due promesse: l’uguaglianza di fronte e sotto la legge e l’eguale distribuzione fra tutti i cittadini del potere politico fondamentale (diritto di voto, di parola e di associazione). Questa forma di libertà politica viene designata come autogoverno e ha cura che il potere sia diffuso e non venga carpito o tenuto da una parte della società, neppure dalla maggioranza; e che tutte le decisioni siano pubbliche, cioè raggiunte con regole a tutti note e da tutti condivise, e aperte all’ispezione e al controllo dei cittadini e alla revisione.
Cfr. G. Pedullà, N. Urbinati, “Democrazia afascista”, Feltrinelli
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