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È morto Peppino Impastato, Viva Peppino Impastato!

«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante nel davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione a rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.»

Il 09 Maggio 2024 ricorre il quarantaseiesimo anniversario dell’omicidio di un giovane attivista di Cinisi, in provincia di Palermo, Giuseppe Impastato detto Peppino, disposto dal boss Tano Badalamenti, succeduto allo zio della vittima, don Cesare Mazzella, ucciso in un attentato al tritolo dai suoi stessi sodali. Era quella una mafia già di respiro internazionale e Peppino, indiscutibilmente oggi una icona della lotta alla criminalità organizzata, era allora prima ancora che anti-mafioso, un antifascista. Nel 1978 infatti, più di adesso, esserlo implicava provare ancora una profonda insofferenza verso ogni forma di violenza e di sopruso, laddove il fascismo a partire dal Primo Dopoguerra aveva fatto della prevaricazione la sua cifra: pestaggi, torture, omicidi, efferatezze, minacce, brogli e privazione diffusa delle libertà dell’individuo.

Peppino era nato nel 1948, all’indomani della strage di Portella della Ginestra, consumatasi poco lontano da Cinisi, ma dall’eco immensa, ancorché terribile, dal momento che la mafia per mano di Salvatore Giuliano aveva represso nel sangue le rivendicazioni socialiste dei contadini in occasione della Festa dei Lavoratori; leggeva Majakovskij e pubblicava giornali autoprodotti e socialisti, all’epoca delle radio libere fondava emittenti autofinanziate, promuoveva cineforum e riflessioni sulla speculazione edilizia in corso in Italia e parlava a compagni e compagne all’indomani del primo voto alle donne con il referendum costituzionale; maturava pertanto nell’Italia della ricostruzione post-bellica, in cui vivo era, anzi vivissimo, il ricordo delle conseguenze della politica repressiva fascista e cresceva inoltre in una famiglia di affiliati al clan locale nel rispetto ottenuto con pistole, bombe, intimidazioni, corruzione e racket, droga e contrabbando. Questi gli affari principali che quegli uomini di onore disbrigavano tra gli Stati Uniti d’America e la Sicilia, terminale nervoso di un’Italia divisa in due dallo sbarco degli Americani, quando la mafia per la prima volta nella storia aveva avuto una interlocuzione con Capi di Stato e di Governo per liberare la penisola dall’occupazione nazi-fascista: a questi Peppino, che nel 1978 aveva appena trent’anni, risultava evidentemente pericoloso al punto da esserne ucciso.


Il padre Luigi era affiliato alla cosca locale ed era stato confinato per tre anni a Ustica dal prefetto Mori: era morto l’anno prima, nel 1977, investito da un’auto, verosimilmente per intimidire il figlio; il figlio però ai suoi funerali rifiutò le condoglianze dei membri di Cosa Nostra ivi sopravvenuti.

Ritrovamento di Aldo Moro in via Caetani - archiviofoto.unita.it, via Wikimedia Commons

Peppino Impastato viene ucciso contestualmente al ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, avvenuto in via Caetani a Roma, il 9 Maggio 1978: una notizia che fagociterà la periferia del Paese e con essa la piccola realtà di Cinisi e le sue vicissitudini locali. La madre Felicia e il fratello Giovanni infatti hanno dedicato la propria vita alla valorizzazione della memoria del loro congiunto, del suo sacrificio in quanto vittima di mafia e alla individuazione dei colpevoli del suo omicidio, sbrigativamente derubricato a suicidio, come quello dell’anarchico Pinelli e dell’editore Feltrinelli. Anche la ricerca di giustizia e di verità è antifascista e questo Felicia e Giovanni lo sanno.

 

Peppino è morto eppure vive fin da subito allorquando tutta la comunità di Cinisi si strinse intorno alla sua famiglia e al ricordo della sua persona votandolo. Sì, perché nonostante fosse già stato raggiunto più volte da minacce e avvertimenti da parte degli uomini di Badalamenti, lui si era comunque candidato nelle liste di Democrazia Proletaria per le elezioni amministrative: risultò pertanto il più votato, con 199 preferenze, e il suo seggio andò ad Antonino La Fata. Anche questo è antifascismo: è resistere alla ignominia a e alla spartizione del potere, scendere in campo e prestare la propria opera alla comunità, sollecitare la collettività a coltivare il sogno di una gestione politica che incroci gli interessi diffusi, senza piegarli a quelli privati.

Peppino Impastato vive nelle registrazioni di Radio Aut, l’emittente o meglio il “Giornale di controinformazione radiodiffuso” da lui fondato a Terrasini (PA) ed in cui è ancora possibile ascoltare le puntate del programma “Onda pazza” con cui derideva mafiosi e affiliati: la libertà di opinione e di stampa è antifascista e per questo verrà ucciso, perché gli ‘uomini di onore’ non sanno argomentare che con la violenza.

 

Restano tante testimonianze e resta la monumentale interpretazione di Luigi Lo Cascio nel film biografico “I Cento Passi”, girato da Marco Tullio Giordana nel 2000. Oltre che nella estrema somiglianza fisica, l’attore incarna anche nella fisicità asciutta e nervosa la tensione che spinge il giovane Peppino a penetrare nel mondo del contrasto alla criminalità organizzata con la stessa naturalità con cui in quel mondo ci è nato e si muove, perché significa in primis contrasto alla privazione della libertà. Lo stesso titolo dopotutto è esemplificativo della prossimità che sussiste di fatto nelle comunità, in particolare a Sud, con affari e interessi più o meno apertamente illeciti, ma percepiti quali parte del tessuto sociale. Il mafioso, il criminale, il corrotto sono quasi percepiti alla stregua del prete, del barbiere, del maestro, soprattutto quando ancora una coscienza di contrasto alle mafie era di là dal diventare un fatto diffuso e istituzionale. E pertanto colpiscono ancora di più la lungimiranza e l’acuta intelligenza di Peppino, bene focalizzate nella sceneggiatura del film.

 

Perché rivedere il film ogni tanto? Per ritrovare la gioia di resistere alle ingiustizie sociali e di adoperarsi per contrastarle, per darsi la possibilità di un orizzonte di equità e di democrazia, in cui la dialettica degli opposti sia un valore aggiunto e non un cancro da estirpare; non rinunciare ad una sana utopia di convivenza civile e pace per tutti.

 

Quel che resta del corpo di Peppino, dilaniato anch’esso da un ordigno fatto esplodere sotto il cadavere adagiato sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani, riposa nel cimitero del Comune siciliano. Più di una fotografia la frase, pronunciata dalla mamma Felicia nella camera ardente: - Questo non è mio figlio, me lo hanno fatto a pezzettini –, restituisce l’accanimento consumato in una notte e in maniera indisturbata sul corpo del ragazzo: la madre di Giulio Regeni a distanza di anni avrebbe detto: - Sul volto di mio figlio Giulio, irriconoscibile, ho visto tutto il male possibile, tutto il male del Mondo -. Chi era quindi Peppino Impastato?

 

Marcia della protesta e della pace organizzata da Danilo Dolci nel marzo del 1967. A destra Peppino Impastato e a sinistra Danilo Dolci - (Fonti: CentroImpastato.it e Wikimedia Commons)

Il suo epitaffio recita “Rivoluzionario e militante comunista - Assassinato dalla mafia democristiana”. Era anche un pacifista: indimenticabile la foto con il conterraneo Danilo Dolci durante la “Marcia della protesta e della speranza” organizzata nel marzo del 1967, che vide tra gli altri anche la partecipazione di Carlo Levi, che delle condizioni del Sud Italia aveva maturato una lunga esperienza durante il suo confino in Lucania nel 1935. Di fatto già quell’iniziativa si presentava di ampio respiro, volendo nell’intento unire l’attenzione ai problemi del mondo, e dunque al Vietnam, allora la questione più pregnante, al contrasto alle dinamiche di impoverimento locale, quali la mancanza di servizi, la disoccupazione, la depressione sociale effetto degli interessi di Cosa Nostra nei grandi appalti e in generale nella gestione degli affari e del mercato del lavoro. Lo stesso Peppino sarà protagonista di una protesta contro l’ampliamento dell’aeroporto di Cinisi, in cui Badalamenti aveva degli interessi diretti per via della gestione del traffico internazionale di stupefacenti. Peppino Impastato pertanto era un antifascista che della lezione partigiana aveva ereditato la parte più bella e autentica: la gioia della libertà e la forza di schierarsi dalla parte della equità contro i soprusi, la violenza, il ricatto sociale. Perché di questo di tratta: difendere i più deboli, siano essi contadini, operai, immigrati, donne, oppure il paesaggio, altra questione cara al giovane attivista di Cinisi. E farlo con la gioia di chi sta dalla parte giusta. In questo Luigi Lo Cascio è veramente molto bravo.

 

Peppino Impastato era un antifascista, uno dei più belli, semmai sia possibile discernere bellezza da capacità, valore da virtù.

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